Il discorso pronunciato ieri da un sempre più lunatico e scatenato Donald Trump all’ONU ha avuto toni talmente deliranti da lasciare attoniti non solo i diplomatici presenti, ma chiunque abbia seguito le sue parole.
Si è trattato di un susseguirsi di minacce apocalittiche, accuse contro gli alleati europei, negazioni del cambiamento climatico e un’autocensura di autocelebrazione ai limiti del grottesco.
Il presidente si è dipinto come unico salvatore, capace di “risolvere guerre che l’ONU non ha nemmeno tentato di affrontare”, salvo poi demolire le stesse istituzioni internazionali in cui stava parlando, accusandole di inefficacia e di essere complici di un complotto globale.
Quel che colpisce non è solo la durezza del linguaggio, ma la visione paranoica che emerge dal discorso: il mondo visto come una minaccia costante, l’energia verde come una truffa, la scienza come nemico, gli altri Paesi come avversari da umiliare.
Non c’è traccia di diplomazia o di apertura al dialogo, ma soltanto estremismo verbale e negazione della realtà. In tutto questo risalta una componente grandiosa e narcisistica: l’idea che soltanto lui abbia la verità, che tutti gli altri siano corrotti o incapaci, che il suo giudizio debba valere come unica bussola per l’umanità.
Di fronte a una simile performance, è inevitabile domandarsi se non siamo oltre i confini della semplice retorica politica. Un linguaggio tanto distaccato dai fatti e così intriso di ossessioni personali non può non sollevare dubbi sulla lucidità di chi lo pronuncia.
È difficile non leggere questo intervento come la conferma della gravità del suo stato mentale: un leader che vive di deliri di onnipotenza, di visioni complottiste e di minacce contro chiunque lo contraddica rappresenta un pericolo non solo per gli Stati Uniti, ma per l’intero ordine internazionale.
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