Drive (2011) di Nicolas Winding Refn è uno di quei film che riescono a essere insieme eleganti e brutali, minimalisti e potentissimi. Un noir urbano immerso in una Los Angeles notturna e irreale, fatta di luci al neon, silenzi carichi di tensione e improvvise esplosioni di violenza.
Ryan Gosling costruisce un protagonista memorabile: taciturno, enigmatico, sfuggente e quasi astratto, capace di comunicare più con uno sguardo che con le parole. Attorno a lui, Refn orchestra una messa in scena rigorosa, fatta di inquadrature studiatissime, tempi dilatati e una colonna sonora synth che non accompagna semplicemente le immagini, ma le definisce, rendendo il film immediatamente riconoscibile.
Drive è cinema di atmosfera, che lavora per sottrazione e affida molto allo spettatore. La violenza, quando arriva, è secca, disturbante, mai gratuita. La storia d’amore è fragile, sospesa, più suggerita che raccontata, e proprio per questo lascia il segno.
Volendo cercare l’unica vera pecca, si può parlare di una certa lentezza, soprattutto nei passaggi più contemplativi, che potrebbe mettere alla prova chi cerca un ritmo più stringente. Ma è una lentezza voluta, che contribuisce a costruire il tono ipnotico del film.
