venerdì 19 dicembre 2025

Cocktail: l’amara parabola del successo dietro il sogno yuppie

Cocktail (1988) rappresenta molto più di un semplice veicolo commerciale per un Tom Cruise al culmine della sua ascesa divistica; si rivela infatti un prezioso documento estetico e sociale capace di catturare l’essenza vibrante e contraddittoria di un decennio indimenticabile. 

Il film scatta una fotografia nitidissima dell'America di fine anni Ottanta, dominata dal mito del "self-made man" e da un’ambizione sfrenata. Attraverso il personaggio di Brian Flanagan, la pellicola incarna perfettamente lo spirito dello yuppismo rampante: quella ricerca febbrile di una scalata sociale dove il valore personale viene misurato in dollari, abiti firmati e prestigio urbano. Nè manca una battuta su Donald Trump, all'epoca additato a esempio di imprenditore di successo.


La regia veloce e la fotografia riescono a trasmettere quell’elettricità collettiva fatta di luci al neon, musica synth-pop e la convinzione incrollabile che, con una dose sufficiente di carisma, ogni obiettivo sia raggiungibile.


Tuttavia, ridurre l'opera a una superficiale celebrazione del materialismo sarebbe un errore, poiché il vero cuore pulsante del film risiede nel conflitto tra l'apparenza e l'integrità. Oltre la patina luccicante dei bar di Manhattan, emerge una riflessione più amara sul disincanto, portata avanti magistralmente dal personaggio del mentore Doug Coughlin. 


Attraverso il loro rapporto, il film mostra il lato oscuro del sogno americano: il cinismo e la solitudine che derivano dal preferire il profitto ai legami umani. Il passaggio dall'energia frenetica di New York ai ritmi più lenti della Giamaica segna una rottura fondamentale, trasformando la storia in un percorso di maturazione in cui il protagonista è costretto a scegliere tra il vendere la propria anima o costruire qualcosa di autentico.


Il film, che all'epoca ottenne un enorme successo, brilla ancora oggi per la sua capacità di mescolare la leggerezza della cultura pop con una critica non banale al prezzo del successo. Tra le spettacolari sequenze di flair bartending e una colonna sonora trascinante, la pellicola approda a un finale umano e sincero, suggerendo che il vero traguardo non sia necessariamente diventare un magnate, ma trovare il proprio posto nel mondo alle proprie condizioni. 


È un "quasi cult", che merita di essere rivisto come un racconto di formazione universale, nascosto dietro il bancone di un bar.

Cocktail: l’amara parabola del successo dietro il sogno yuppie

Cocktail (1988) rappresenta molto più di un semplice veicolo commerciale per un Tom Cruise al culmine della sua ascesa divistica; si rivel...