Bushwick (2017), diretto da Cary Murnion e Jonathan Milott, è un film che colpisce per intensità e realismo, e che, a distanza di anni, suona più profetico che mai. Ambientato in un quartiere di Brooklyn improvvisamente trasformato in un campo di battaglia, racconta la fuga disperata di una giovane donna (Brittany Snow) e di un ex militare (un sorprendente Dave Bautista) nel mezzo di una misteriosa insurrezione armata.
Diversamente dal più recente Civil War di Alex Garland — elegante ma freddo, costruito come un reportage estetizzante del collasso americano — Bushwick è ruvido, viscerale, sporco. La macchina da presa segue i protagonisti in lunghi piani sequenza che immergono lo spettatore nel caos urbano, rendendo palpabile la paura e la disgregazione sociale. Non ci sono giornalisti o simbolismi, ma solo cittadini comuni travolti da una guerra che nessuno ha dichiarato apertamente.
L’idea di una secessione interna agli Stati Uniti, di stati che si ribellano al governo federale, suona oggi fin troppo plausibile. In un’America segnata dalle divisioni e dall’odio seminato da un demagogo come il presidente pazzo Trump — fomentatore di caos, di sospetto, di rabbia — Bushwick appare come un cupo avvertimento, una parabola che anticipa la deriva di un Paese sul punto di implodere.
Crudo, diretto e sorprendentemente attuale, Bushwick è un piccolo film indipendente che supera per intensità e lucidità molte produzioni più blasonate. Un racconto di resistenza e sopravvivenza che, purtroppo, non sembra più appartenere soltanto alla finzione cinematografica.