lunedì 17 novembre 2025

L’uomo che venne dalla Terra, un piccolo grande film

Ci sono film che, pur privi di effetti speciali o budget milionari, riescono a lasciare un segno profondo nello spettatore. L’uomo che venne dalla Terra (The Man from Earth, 2007), scritto da Jerome Bixby e diretto da Richard Schenkman, appartiene a questa ristretta categoria di opere capaci di catturare l’attenzione con la sola forza del racconto.

Girato quasi interamente in una stanza, con pochi attori e nessuna azione spettacolare, il film si regge su un’idea tanto semplice quanto affascinante: un uomo, John Oldman, professore universitario, confessa ai suoi colleghi di essere un Cro-Magnon di 14.000 anni che non è mai morto. Da qui si apre un dialogo serrato, filosofico, scientifico e religioso, in cui ogni personaggio reagisce diversamente alla rivelazione.


Il fascino del film sta tutto nella parola, nella tensione intellettuale e nel dubbio costante che attraversa lo spettatore: e se fosse vero? L’uomo che venne dalla Terra è, in fondo, un esperimento teatrale in forma cinematografica, un racconto di fantascienza “da camera” che non ha bisogno di astronavi o computer grafica per sollevare domande fondamentali sul tempo, sulla memoria, sulla fede e sull’identità umana.


Straordinaria l’interpretazione di David Lee Smith nel ruolo di John, capace di dosare mistero e umanità con misura perfetta, mentre attorno a lui il gruppo di colleghi – scienziati, storici, credenti e scettici – incarna le diverse facce della razionalità e della credulità.


Alla fine, il film ci lascia sospesi tra incredulità e meraviglia, come in ogni grande storia di fantascienza: il mistero non viene risolto, ma ci accompagna ben oltre i titoli di coda.


Un piccolo capolavoro di scrittura e recitazione, che dimostra come le buone idee – anche con mezzi ridotti all’osso – possano valere più di mille effetti digitali. Un film da riscoprire, capace di far pensare e di emozionare con la sola forza della parola, e, pregio non da poco, senza annoiare.




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