venerdì 26 settembre 2025

Il Web che muore (e quello che può rinascere)

Frequento il Web sin dalla sua nascita. Ho visto l’entusiasmo degli inizi, quando la rete era un territorio vergine, aperto, nato dall’intuizione geniale di Tim Berners-Lee: uno spazio pensato per condividere conoscenza, idee, cultura. Una rete in cui ciascuno poteva accedere e contribuire, in cui il sapere scorreva senza barriere, senza secondi fini, senza il rumore incessante del mercato.

Oggi, accedere a un sito equivale spesso a entrare in un bazar caotico e soffocante. Non più la porta verso il mondo, ma un muro di finestre che si accavallano, pop-up insistenti, banner lampeggianti, richieste di consenso infinite. Ogni clic è una battaglia contro stratagemmi pensati per rubare attenzione, per trasformare il visitatore in cliente, l’individuo in un dato da rivendere.


Il Web, un tempo terreno fertile per la creatività e l’incontro, è diventato un campo minato in cui l’esperienza dell’utente conta meno del profitto che si può spremere. La pubblicità, onnipresente e aggressiva, non informa più: opprime. E così lo spirito originario, quel sogno di un sapere libero e accessibile, muore lentamente sotto il peso di un’economia predatoria che tutto inghiotte.


Eppure non tutto è perduto. In angoli meno illuminati della rete resistono comunità, progetti indipendenti, siti curati con passione che mantengono viva l’idea originaria: condividere per crescere, comunicare senza secondi fini, costruire spazi digitali che non siano trappole ma piazze aperte. 


È lì che forse possiamo riconquistare il Web, ripartendo dalla semplicità, dal rispetto e dalla fiducia. Forse il modo migliore per onorare il sogno di Berners-Lee è proprio questo: continuare a credere che un’altra rete sia ancora possibile.






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