mercoledì 30 aprile 2025

30 aprile 1975: fine della guerra del Vietnam

Il 30 aprile 1975 segna un anniversario doloroso e significativo: la fine della guerra del Vietnam. In questa data i carri armati nordvietnamiti entrarono a Saigon, ponendo fine a un conflitto lungo, lacerante, tragico. Le immagini dell’evacuazione disperata dall’ambasciata americana, gli elicotteri sul tetto, i civili abbandonati, restano impresse nella memoria collettiva come simbolo del fallimento e dell’orrore.

Fu il presidente Richard Nixon a ordinare, nel 1973, il ritiro delle truppe americane, in seguito agli accordi di pace di Parigi. Tuttavia, il ritiro non portò alla pace, ma solo a un tragico epilogo annunciato: due anni dopo, il Vietnam del Sud cadde e l'intero paese passò sotto il controllo comunista.

La guerra del Vietnam ha lasciato un’impronta profonda nella coscienza americana e mondiale: oltre 58.000 soldati statunitensi uccisi, milioni di vittime vietnamite, ferite psicologiche e morali incancellabili, e un interrogativo ancora oggi irrisolto sul senso di quella guerra.

Negli Stati Uniti, quel conflitto segnò una frattura epocale. Nacque e crebbe un vasto movimento pacifista, che attraversò il paese e il mondo occidentale, portando in piazza studenti, intellettuali, artisti, veterani. Il Vietnam fu anche una guerra mediatica: le immagini trasmesse ogni giorno in televisione cambiarono per sempre il rapporto tra opinione pubblica e potere. La fiducia nel governo crollò, dando inizio a una lunga stagione di disincanto e critica verso le istituzioni.

Anche la cultura ne fu trasformata: musica, cinema e letteratura affrontarono il trauma bellico con opere che ancora oggi ci parlano, da Apocalypse Now a Nato il quattro luglio, da Bob Dylan a Bruce Springsteen, da Tim O'Brien a Oliver Stone.

Ricordare oggi la fine del conflitto significa anche onorare le vittime, civili e militari, di ogni parte, e riflettere sulle responsabilità della politica, sulla voce della società civile e sui limiti tragici dell’interventismo armato.



Trump fa di nuovo grande l'America... in recessione

Il crollo odierno delle Borse statunitensi ed europee è stato innescato dalla contrazione inattesa del PIL degli Stati Uniti nel primo trimestre del 2025, che ha registrato un calo annualizzato dello 0,3%, segnando la prima flessione economica dal 2022. Questo declino è attribuito principalmente a un aumento significativo delle importazioni, cresciute del 41,3% annualizzato, in previsione di nuovi dazi annunciati dal presidente Donald Trump. Tale incremento ha influito negativamente sul commercio netto, sottraendo oltre cinque punti percentuali al PIL.

La reazione dei mercati è stata immediata: Wall Street ha subito forti ribassi, con il Nasdaq in calo del 2,4%, e titoli come Nike, Amazon e Nvidia hanno registrato perdite significative. Anche le Borse europee hanno chiuso in territorio negativo; Milano ha perso l'1,2%, con Campari che ha subito un c

rollo del 18,5%.

Gli analisti esprimono preoccupazione per una possibile recessione tecnica negli Stati Uniti, alimentata da politiche commerciali protezionistiche e da un rallentamento del consumo interno. La Federal Reserve si trova ora di fronte alla sfida di stabilizzare l'economia senza aggravare ulteriormente la situazione.

In questo contesto, è difficile non attribuire gran parte della responsabilità alla linea economica miope e autolesionista di Donald Trump: una politica fatta di slogan e dazi, che illude i suoi sostenitori con promesse di grandezza mentre getta l’economia reale in un pantano. Ancora una volta, il “Make America Great Again” si rivela per quello che è: una trappola populista dagli effetti collaterali devastanti.

martedì 29 aprile 2025

Sting 3.0 Live: ritratto di una rockstar stanca

L'album Sting 3.0 Live, registrato nell'autunno del 2024 al The Fillmore di Detroit, durante il tour "Sting 3.0", che vede la rockstar affiancata da una formazione ridotta a trio, si presenta come un'occasione per riascoltare alcuni dei suoi più grandi successi. 

Musicalmente i brani sono eseguiti benissimo: la band è precisa, impeccabile, a tratti perfino troppo perfetta. Eppure il risultato finale è sorprendentemente deludente, e la responsabilità ricade proprio su Sting. 

L'artista settantatreenne, a dispetto dell'invidiabile forma fisica, appare spesso annoiato, quasi svogliato, come se fosse lui per primo a non credere più nelle canzoni che esegue. La voce, più roca e affaticata del solito, tradisce una stanchezza difficile da ignorare. 

È inevitabile pensare che Sting si sia legittimamente stancato di riproporre all'infinito il proprio repertorio, ma il suo distacco emotivo si traduce in uno show freddo, piatto, privo di slancio e passione. Sono molto lontani insomma i fasti dei mitici Police.



lunedì 28 aprile 2025

Apple e l’innovazione: un mito che rischia di appannarsi?

Dai tempi pionieristici del primo, rivoluzionario Macintosh, passando per il visionario (e sfortunato) Newton, fino alle rivoluzioni planetarie dell’iPod, dell’iPhone e dell’iPad, Apple è sempre stata identificata come il motore dell’innovazione tecnologica. Tuttavia, negli ultimi anni, questa immagine sembra essersi appannata.

I progetti falliti come l’Apple Car, l'accoglienza tiepida del visore Vision Pro, il ritardo enorme accumulato nello sviluppo dell'intelligenza artificiale e la totale assenza di dispositivi pieghevoli, oggi già standard tra i principali competitor, raccontano di una Apple che sembra più prudente, quasi timorosa di rischiare.

Non si tratta solo di prodotti: negli anni, cambiamenti significativi nei team di sviluppo, un turnover interno crescente e una gestione più burocratica dei progetti hanno lentamente eroso quella spinta creativa che un tempo sembrava inesauribile.

Il confronto tra i due grandi CEO della storia Apple è inevitabile: Steve Jobs era un visionario, capace di imporre idee rivoluzionarie anche contro le resistenze interne; Tim Cook è un eccellente manager, abilissimo nel perfezionare la catena logistica e massimizzare i profitti, ma meno incline a correre quei rischi folli che spesso fanno la storia.

Oggi i numeri continuano a premiare la Casa della Mela Morsicata, forte di una base di utenti fedelissimi. Eppure, resta il dubbio: Apple sta vivendo di rendita, incapace di accendere davvero l’immaginazione del mondo come un tempo?

Il mito dell’innovazione è ancora vivo, ma rischia di diventare sempre più un ricordo, se non sarà accompagnato da nuove, autentiche rivoluzioni.



giovedì 24 aprile 2025

Drive My Car

Drive My Car (2021) è un film raffinato e profondo, che esplora con delicatezza temi universali come il lutto, la colpa, la comunicazione e la possibilità di rinascita. 

Ryusuke Hamaguchi costruisce un racconto intimo e malinconico, ispirato all'omonimo racconto di Haruki Murakami (ma con echi anche da altri testi dello stesso autore), dove ogni silenzio pesa quanto una battuta, e ogni sguardo è carico di significato.

La prova dell’attore protagonista, Hidetoshi Nishijima, è di grande spessore: misurata, intensa, capace di trasmettere emozioni complesse con una naturalezza disarmante. Da segnalare anche la splendida fotografia, che accompagna con eleganza la narrazione, valorizzando paesaggi, interni e soprattutto l’atmosfera sospesa che attraversa tutto il film.



L’unico vero limite sta nella durata: tre ore sono davvero troppe. Il film avrebbe guadagnato in efficacia con un taglio netto di almeno 45 minuti, eliminando ridondanze che rischiano di appesantire un’opera altrimenti di grande valore.


Nonostante questo handicap, Drive My Car resta un film da vedere, da ascoltare e da meditare, capace di lasciare tracce profonde nello spettatore attento.

venerdì 18 aprile 2025

L'inutile visita di Meloni a Trump

Alla fine, l’unico risultato concreto della strombazzata visita di Giorgia Meloni al "presidente pazzo" Trump è stata la sua promessa – buttata lì, tra una stretta di mano e un sorriso di plastica – di venire in Italia per discutere (forse) dei famigerati dazi. 

Una promessa, si badi bene, fatta da una parodia di presidente, che è tutto fuorché affidabile e credibile. 

Ma ehi, per la propaganda governativa è bastata quella: Trump “verrà in Italia”! Nessuna data, nessun programma, nessun senso. Solo una frase detta per cortesia, magari mentre già pensava al prossimo post su Truth Social.

Intanto Meloni torna a casa esultante, come se avesse riportato a Roma i patti del Laterano. Zero risultati in politica estera, nessun beneficio per l’Italia, anzi. Nessun dossier davvero affrontato. Solo il solito teatrino di selfie, frasi altisonanti e una narrazione cucita su misura per un elettorato affamato di suggestioni e disinteressato ai fatti.  

È la geopolitica delle figurine: oggi una stretta di mano a Trump, domani forse una pacca sulla spalla di un altro leader sovranista. Tutto fa brodo, purché si possa spacciare per “leadership internazionale”. 

La realtà, però, è che Meloni non ha ottenuto nulla. O meglio: ha ottenuto esattamente quello che voleva. Una promessa inutile, una foto da sbandierare, e un’altra dose di propaganda da servire agli italiani come fosse diplomazia.

lunedì 14 aprile 2025

The Post – Il coraggio della verità e la libertà sotto assedio

Con The Post (al momento disponibile gratuitamente su RaiPlay o in abbonamento su Sky/Now), Steven Spielberg firma un film che va ben oltre la ricostruzione storica: è un'opera di grande potenza civile, che parla al presente con un’urgenza bruciante. In un’epoca in cui il potere cerca di delegittimare i media indipendenti, alimentando il sospetto e il risentimento verso la stampa, il film assume il valore di un monito. 

Quando un presidente  lo squilibrato, vanesio e pregiudicato Donald Trump – attacca quotidianamente i giornali che non lo osannano, bolla come “fake news” ogni critica e tenta di comprimere il dissenso,  The Post  ci ricorda che il giornalismo libero non è un optional della democrazia: è il suo fondamento.

La vicenda è nota: nel 1971, il  Washington Post  si unisce al  New York Times  nella pubblicazione dei “Pentagon Papers”, documenti riservati che smascherano decenni di menzogne da parte del governo americano sulla guerra in Vietnam. Al centro del racconto ci sono due figure straordinarie: l’editrice Katharine Graham (una meravigliosa Meryl Streep) e il direttore Ben Bradlee (un solido e carismatico Tom Hanks). È attraverso il loro confronto, le loro esitazioni, il loro coraggio, che il film racconta la sfida tra stampa e potere, tra verità e convenienza.

Spielberg sceglie un impianto classico, sobrio, quasi "vecchio stile", e s'inserisce nel solco dei grandi film di denuncia americana, da Tutti gli uomini del presidenteQuinto potere. Non ha la concitazione del thriller né l’ansia del tempo reale, ma una narrazione solida e misurata che restituisce il peso delle decisioni, delle parole, delle responsabilità. Qualche lentezza forse, ma funzionale alla costruzione di un climax morale più che spettacolare.

Impressionante è la cura dei dettagli: l’ambientazione anni Settanta è ricostruita con maniacale precisione, dalla redazione affollata e rumorosa al look dei personaggi, dai toni desaturati dell’immagine alle sequenze in cui la carta del giornale prende forma tra le mani degli operai. Ogni scelta visiva contribuisce a immergerci in un’epoca e a farci sentire la forza fisica, concreta, della stampa.

Ma ciò che rende The Post un film imprescindibile è il suo messaggio: quando il potere mente, quando cerca di intimidire, manipolare, zittire, allora pubblicare è un dovere. Il cinema qui diventa uno strumento di resistenza, un atto di memoria e di speranza.

In tempi bui, Spielberg alza la voce per dire che il dissenso non è tradimento, che la libertà di stampa non è un fastidio da sopportare ma un diritto da difendere con le unghie e con i denti. E nel volto determinato di Katharine Graham, che sceglie di rischiare tutto per dire la verità, vediamo una figura di eroismo civile che oggi più che mai ci interpella.

The Post non è solo un film sul passato. È una lettera aperta al nostro presente. E, forse, anche un invito al futuro.

domenica 13 aprile 2025

Who Believes In Angels, un ritorno alla grande per Elton John

A quasi ottant’anni, Elton John potrebbe permettersi di vivere sugli allori di una carriera leggendaria. E invece no. Con Who Believes In Angels, il vecchio re del pop firma, a dispetto dei recenti acciacchi di salute, un disco inaspettatamente fresco, energico e ispirato, che suona come un nuovo inizio più che come un malinconico epilogo.

Alla base di questa rinascita creativa c’è una collaborazione sorprendente ma perfettamente riuscita: quella con la cantautrice country Brandi Carlile. Da anni una delle voci più potenti e sincere della musica americana, Carlile ha portato nel progetto un tocco di autenticità e radici folk, ma anche una sensibilità contemporanea che ben si sposa con il mondo di Elton. Il risultato è un disco che vive dell’alchimia tra due artisti molto diversi, ma uniti da una comune passione per la melodia e per la verità emotiva delle canzoni.

Fin dal primo brano, Skywriting Hearts, ci si accorge che qualcosa è cambiato. I suoni sono puliti, brillanti, con arrangiamenti che strizzano l’occhio alla contemporaneità senza perdere un briciolo dell’identità classica di Elton. Il pianoforte è ancora lì, protagonista indiscusso, ma si muove dentro strutture sonore più moderne, con beat elettronici discreti, sfumature country e cori che esplodono nei momenti giusti.

La voce, certo, non ha più l’estensione di un tempo, ma è più espressiva che mai. Elton canta con una passione che non si può simulare, e che anzi sembra intensificata da un’urgenza nuova. In brani come Angel in the Alley o Midnight Cathedral, c’è una dolcezza malinconica che ricorda i suoi lavori più intimi degli anni '70, ma rivisitata con lo sguardo di chi ha vissuto molto e ha ancora qualcosa da dire.

Il titolo dell’album, Who Believes In Angels, richiama il tema dell’illusione, della fede e del desiderio di bellezza in un mondo complicato. Non è un concept album, ma c’è un filo conduttore di speranza e redenzione che lega i pezzi, senza mai cadere nella retorica o nel sentimentalismo facile.

Particolarmente degna di nota è Digital Grace, una ballata moderna e commovente, che mescola archi e synth in un crescendo emozionante. In alcuni momenti, la voce di Brandi Carlile entra in punta di piedi, ma lascia il segno: le armonie vocali che costruisce con Elton sono tra le cose più belle del disco. E ancora, Let the Fire Rain è un pezzo uptempo che ricorda gli anni ‘80, ma con una produzione scintillante e attuale.

Insomma, questo non è solo un buon album “per un artista alla sua età”: è un disco pienamente riuscito, che potrebbe tranquillamente competere con lavori di artisti ben più giovani. 

Elton John non si limita a riproporsi: si rinnova, si mette in gioco, e riesce ancora a sorprendere. E forse è proprio questo, oggi, il suo più grande miracolo. Bentornato, Rocket Man. E grazie, Brandi.

Voto: 8,5/10

sabato 12 aprile 2025

Tornano i Negrita: Canzoni per Anni Spietati

ll nuovo album dei Negrita, Canzoni per Anni Spietati, uscito il 28 marzo 2025, segna il ritorno, potente e consapevole, della storica rock band italiana. A sei anni di distanza da Desert Yacht Club, questo concept album si presenta come un atto di libertà creativa e di pensiero, affrontando con coraggio le tensioni del presente e riaffermando l’identità del gruppo.

Tra i brani più significativi spiccano il brano d'apertura, trascinante nel sound e più che condivisibile nel testo, Nel Blu (Lettera ai Padroni della Terra)il singolo Noi Siamo Gli Altri, una ballata profonda che celebra l’autenticità e la libertà di pensiero, dando voce agli emarginati e ai liberi pensatori.


L’album, molto compatto e ispirato, include anche due omaggi importanti: Song to Dylan, ispirato a Bob Dylan, e una sentita reinterpretazione di Viva l’Italia di Francesco De Gregori, che affronta la complessità dell’identità nazionale alla luce delle nuove tensioni sociali e culturali.


La copertina dell’album, essenziale e priva di immagini, sottolinea l’urgenza del messaggio e la centralità dei contenuti, invitando l’ascoltatore a concentrarsi sulla musica, suonata con grinta e grande professionalità, e sui testi, mai banali, anzi giustamente arrabbiati, visti i tempi a dir poco cupi che ci troviamo a vivere.


Con Canzoni per Anni Spietati, i Negrita offrono un’opera matura e intensa, capace di dialogare con il presente e di offrire spunti di riflessione profonda.


TRACKLIST


Nel Blu (Lettera ai Padroni della Terra)

Noi Siamo Gli Altri

Ama O Lascia Stare

Song To Dylan

Non Esistono Innocenti Amico Mio

Buona Fortuna

Dov’è Che Abbiamo Sbagliato

Viva L’Italia

Non Si Può Fermare




venerdì 11 aprile 2025

Vite che non sono la mia

Di recente ho scritto una recensione di Vite che non sono la mia di Emmanuel Carrère, un libro che mescola reportage, autobiografia e dolore condiviso con una lucidità disarmante. 

Carrère ci accompagna in un viaggio nelle esistenze altrui – amici, parenti, vittime dello tsunami – per parlare in realtà di noi stessi, delle nostre fragilità e del senso (o nonsenso) della perdita.

➡️ Leggi la recensione completa sul blog magazine Libri e parole.

giovedì 10 aprile 2025

Trump vs Underwood: quando la finzione impallidisce di fronte alla realtà

Se siete fan della pluripremiata serie House of Cards, sapete che il suo protagonista Frank Underwood è un maestro della manipolazione, un politico disposto a tutto per raggiungere il potere. Le sue mosse sono calcolate, spietate e spesso al limite dell'incredibile. Ma per quanto la serie possa essere avvincente, la realtà supera di gran lunga la finzione, soprattutto quando si parla del "presidente pazzo" Donald Trump.

Le azioni di Trump durante la sua presidenza hanno spesso lasciato il mondo a bocca aperta. Dai tweet incendiari alle conferenze stampa surreali, passando per le accuse infondate e le giravolte politiche, l'ex presidente ha riscritto le regole del gioco, o forse le ha semplicemente gettate alle ortiche.

Mentre Underwood agisce nell'ombra, con una fredda logica e un piano ben preciso, Trump sembra muoversi a scatti, guidato dall'istinto e dalla rabbia del momento. Le sue decisioni sono spesso impulsive, contraddittorie e apparentemente prive di una strategia a lungo termine.

Dove Underwood è un calcolatore cinico, Trump è un vulcano in eruzione, imprevedibile e distruttivo. Le sue mosse non sono tanto un gioco di scacchi, quanto una partita di poker giocata con carte truccate e regole improvvisate. E se Underwood, interpretato dal carismatico Kevin Spacey, ammalia con il suo fascino oscuro, Trump, con la sua goffaggine, il suo atteggiamento tronfio e spesso ridicolo, suscita più sconcerto che ammirazione.

Certo, House of Cards è un'opera di finzione, e le azioni di Underwood sono pensate per intrattenere. Ma il confronto con la realtà è inevitabile. E in questo confronto, la finzione impallidisce di fronte alla realtà, rivelando quanto possa essere assurda e pericolosa la politica quando è nelle mani di un leader scorretto, spregiudicato e mentalmente instabile.



venerdì 4 aprile 2025

Il Macbeth di Joel Coen affonda sotto il peso delle sue ambizioni

Macbeth, film prodotto in pompa magna da AppleTV+, è la prima regia da solista per Joel Coen, che abbandona l’ironia corrosiva dei suoi film più celebri per tentare l’adattamento austero e teatrale della celeberrima tragedia shakespeariana. 

Il risultato, però, è disastroso: Macbeth è un'opera noiosa, pretenziosa e fredda, che svuota il dramma di ogni vitalità. Il bianco e nero esasperato, l’impostazione minimalista e la recitazione enfatica trasformano l’opera in un esercizio di stile sterile e autoreferenziale, ardua da seguire e apprezzare anche per lo spettatore più volenteroso.

Denzel Washington, nel ruolo del protagonista, è fuori parte: la sua presenza scenica non basta a compensare una scelta di casting che appare come un grave errore e una ridicola forzatura ideologica. 

Frances McDormand, nei panni di Lady Macbeth, è intensa ma è come intrappolata in un impianto troppo rigido per risultare realmente disturbante. 

Il resto del cast – da Brendan Gleeson a Corey Hawkins – fatica a emergere in un film che si prende terribilmente sul serio, ma non riesce né a emozionare né a coinvolgere. 


Un’occasione mancata e una sterile operazione intellettualoide travestita da cinema d’autore.

mercoledì 2 aprile 2025

Val Kilmer, l'attore che divenne leggenda

Hollywood perde uno dei suoi attori più carismatici e versatili: Val Kilmer ci ha lasciati, portando con sé un pezzo di storia del cinema contemporaneo. Un attore che ha saputo attraversare generi e personaggi con un'intensità rara, lasciando un segno indelebile in ogni ruolo interpretato.

Kilmer sarà ricordato soprattutto per la sua straordinaria interpretazione di Jim Morrison in The Doors di Oliver Stone. Il film del 1991, riuscitissimo, non sarebbe stato lo stesso senza la sua dedizione assoluta nel calarsi nei panni del leggendario frontman. La somiglianza fisica, la voce, la gestualità: tutto in lui restituiva un'illusione quasi spettrale della presenza di Morrison sullo schermo. Non si limitò a interpretarlo, lo incarnò, dimostrando un’abilità trasformista che pochi attori possiedono. 

Ma la sua carriera non si ferma certo lì. Kilmer fu il volto di Iceman in Top Gun, l'algido rivale di Maverick, un ruolo che contribuì a consolidare la sua immagine di attore dal fascino magnetico. Fu un Batman elegante e tormentato in Batman Forever, un Doc Holliday indimenticabile in Tombstone, un Simon Templar affascinante ne Il Santo e il geniale Chris Knight in Top Secret!. Ogni performance era una dimostrazione della sua capacità di cambiare pelle, di diventare qualcun altro con naturalezza e intensità.

Negli ultimi anni, la malattia lo aveva allontanato dal grande schermo, ma non aveva spento il suo spirito. Kilmer affrontò la battaglia con il cancro alla gola con il coraggio e la dignità di chi aveva vissuto mille vite, accettando il cambiamento senza perdere la sua essenza. Il documentario Val (2021) ci ha mostrato il lato più intimo di un artista che, dietro la fama e i riflettori, era un uomo sensibile, ironico e profondamente appassionato del proprio mestiere.

Oggi il cinema piange un interprete eccezionale, capace di donare a ogni ruolo una verità assoluta. Ma Val Kilmer non morirà mai davvero: il suo sguardo fiero, il suo volto e la sua arte continueranno a vivere nelle immagini che ci ha lasciato.

Buon viaggio, Val.

Libri da leggere ad aprile

Lo so, questi ultimi giorni non sembrano particolarmente primaverili, visto l'abbassamento inaspettato delle temperature e il maltempo che imperversa su diverse regioni. Ma, bizzarrie meteorologiche a parte, la primavera ormai è arrivata e noi abbiamo deciso di salutarla dedicandoci a uno dei nostri passatempi preferiti, la lettura.

E quale strumento possiamo utilizzare per orientarci nel mare magnum delle innumerevoli proposte librarie sfornate da editori grandi e piccoli? Ma è ovvio, la famosa lista dei libri consigliati, che da anni appare con rassicurante puntualità sulle pagine del blog magazine Libri e Parole.

Qui trovate la lista dei titoli selezionati per il mese di aprile. Ce ne sono di belli, credetemi. E come sempre buona lettura a tutti!

Il business della rabbia sui social

C’è un filo nero che attraversa i social, e Facebook più di tutti: la violenza verbale . Ogni giorno assistiamo a una marea di insulti, sar...