Anti-intellectualism has been a constant thread winding its way through our political and cultural life, nurtured by the false notion that democracy means that my ignorance is just as good as your knowledge.
(Isaac Asimov)
Il grande Isaac Asimov aveva colto un punto dolorosamente attuale. Le sue parole, scritte nel 1980 — un monito e una diagnosi — si adattano perfettamente al nostro presente, in cui la competenza smette di essere un valore e l’opinione non informata pretende lo stesso peso del sapere.
Proprio così: oggi quella riflessione risuona più attuale che mai. Viviamo immersi in un rumore di fondo dove la superficialità viene scambiata per autenticità, l’improvvisazione per spontaneità, l’incompetenza per “buon senso”. E il fenomeno non riguarda solo il dibattito pubblico: lo vediamo tristemente riflesso nell’attuale classe politica, spesso ostile a tutto ciò che richiede studio, consapevolezza, conoscenza. L’arte e la cultura vengono trattate come un lusso trascurabile, quando non addirittura come territori sospetti, da guardare con diffidenza.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: si governa a colpi di slogan, si decide senza comprendere, si liquida la complessità come fosse un intralcio. È l’arroganza degli ignoranti, la più pericolosa: quella di chi non solo non sa, ma nemmeno sospetta che ci sia qualcosa da sapere.
Eppure Asimov ci ricordava anche un’altra verità: la conoscenza non è mai un peso, semmai è ciò che ci rende liberi. Forse dovremmo tornare a ripetercelo, e pretendere che chi aspira a guidare un paese lo sappia almeno quanto noi.
