sabato 30 agosto 2025

L’America sull’orlo dell’abisso

La democrazia americana è sotto attacco, e a guidare l’assalto è lo stesso uomo che dovrebbe difenderla: Donald Trump, un presidente criminale, bugiardo abituale, mentalmente instabile, che da anni mina dall’interno le istituzioni con la sua violenza verbale, il suo disprezzo delle regole, la sua ossessione per il potere assoluto. Ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi non è soltanto un degrado politico: è un collasso morale, un cedimento strutturale della democrazia più influente del mondo.

La storia ci ammonisce. Negli anni ’20 e ’30 la Repubblica di Weimar, nata fragile e tormentata, vide crescere in seno forze oscure che si nutrivano di odio, propaganda e menzogne. L’inerzia dei benpensanti e l’incapacità delle istituzioni di difendersi aprirono la strada al nazismo e alla catastrofe planetaria che ne seguì. Oggi, a distanza di un secolo, lo spettro di quella parabola ritorna: la retorica incendiaria, l’uso sistematico della menzogna, l’attacco ai media, la criminalizzazione degli avversari politici, il culto della personalità. Tutto sembra ripetersi, con agghiacciante precisione.

Trump non è solo un leader corrotto: è un pericolo esistenziale per la democrazia. Il suo disprezzo per la legalità, la sua volontà di ergersi al di sopra della legge, il suo sforzo continuo di ridurre la politica a una questione di fedeltà personale lo rendono un aspirante tiranno. Ma altrettanto inquietante è la mancanza di una reazione ferma e unitaria da parte del Partito Democratico: ancora sbandato, stordito e incapace di rialzarsi dopo il tragico risultato delle elezioni, sembra paralizzato proprio nel momento in cui la democrazia avrebbe più bisogno di una guida forte e coraggiosa.

Non possiamo restare indifferenti. La lezione di Weimar è scolpita nella storia: quando la democrazia non si difende con decisione, viene spazzata via. Oggi, più che mai, occorre vigilare, denunciare, resistere. Perché se cade la democrazia americana, cade un pilastro dell’ordine mondiale, e il buio che ne seguirebbe non risparmierebbe nessuno di noi.

Photo-Illustration: Joe Darrow/Photograph: MANDEL NGAN/AFP via Getty Images (TRUMP); Hennepin County Sheriff’s Office via Getty Images

mercoledì 27 agosto 2025

Memorie dal sottosuolo: un classico che ci riguarda ancora


Memorie dal sottosuolo di Fëdor Dostoevskij, pubblicato nel 1864, è uno di quei libri che sembrano parlare più al futuro che al proprio tempo. Non si tratta di un romanzo tradizionale, con una trama ordinata e personaggi ben delineati, ma di una sorta di confessione corrosiva, a metà tra diario intimo e pamphlet filosofico. È un’opera che rompe con i canoni ottocenteschi e inaugura una forma narrativa nuova, destinata a influenzare gran parte della letteratura del Novecento.

Il protagonista, il celebre Uomo del sottosuolo, non è un eroe e neppure un antieroe in senso classico: è un individuo marginale, isolato, contraddittorio, incapace di inserirsi nel mondo eppure ossessionato da esso. Oscilla tra orgoglio smisurato e umiliazione, tra il desiderio di superiorità e la sensazione costante di fallimento. In lui Dostoevskij mette in scena la nascita dell’uomo moderno, scisso e tormentato, lontano dalle figure armoniose che popolavano i romanzi del secolo precedente.

La modernità dell’opera si manifesta anche nella forma: frammentaria, discontinua, quasi priva di una vera trama, dominata piuttosto da un incessante flusso di pensieri e contraddizioni. In questo senso Memorie dal sottosuolo anticipa tecniche che diventeranno centrali nella narrativa del Novecento, dal flusso di coscienza di Joyce alle inquietudini kafkiane.


Ma ciò che colpisce di più è l’approfondimento psicologico. L’Uomo del sottosuolo si analizza senza tregua, mette a nudo pulsioni e pensieri che solitamente restano nascosti: il piacere della sofferenza, il gusto per l’umiliazione, la ribellione irrazionale contro la logica e il buon senso. Dostoevskij scava nei recessi della psiche umana con un’acutezza che anticipa l’indagine psicoanalitica di Freud, mostrando come l’uomo non sia mai riducibile a schemi razionali o a calcoli utilitaristici.

Il romanzo è infatti anche una polemica contro l’ottimismo razionalista e le utopie sociali del tempo: l’idea che la felicità potesse essere costruita solo su basi logiche e matematiche viene smontata pezzo per pezzo. L’Uomo del sottosuolo rivendica l’imprevedibilità, l’irrazionalità e perfino l’autodistruzione come tratti costitutivi dell’essere umano.

A distanza di più di un secolo e mezzo, il libro mantiene intatta la sua forza dirompente. L’Uomo del sottosuolo, con la sua rabbia impotente, il suo isolamento e la sua incapacità di vivere relazioni autentiche, assomiglia sorprendentemente a molti individui di oggi, alienati e divisi tra desiderio di libertà e paura del mondo. Non sorprende che Memorie dal sottosuolo venga considerato un testo che anticipa l’esistenzialismo di Sartre e Camus, oltre a dialogare idealmente con la psicoanalisi novecentesca.

Non è una lettura facile né consolatoria: non ci offre redenzione né risposte semplici, ma ci mette davanti a uno specchio scomodo, costringendoci a guardare le zone d’ombra che spesso preferiamo ignorare. Proprio per questo, però, resta un’opera necessaria, che continua a parlarci con urgenza e modernità, interrogandoci sul mistero più insondabile di tutti: l’animo umano.

L’edizione BUR Rizzoli, oltre a un’ottima traduzione, vanta un’eccellente prefazione firmata da Alberto Moravia.

sabato 23 agosto 2025

Trump, tra delirio e farsa

Trump, il presidente pazzo degli Stati Uniti, inanella una sequenza di mosse sciagurate, che rasentano il delirio politico. Il fallimentare incontro con Putin, che lo ha lasciato isolato e screditato; il “finto” summit con Zelensky e i leader europei, privo di sostanza e ridotto a una passerella d’immagini; le improvvisazioni autoritarie su Washington, più simili a colpi di teatro che a scelte di governo. 

A questo si aggiunge l’annunciata imposizione di dazi sui mobili importati, un provvedimento tanto assurdo quanto inutile, che rivela un’idea di politica economica ridotta a slogan. 

Il tutto accompagnato da uno stato mentale che appare sempre più alterato: un mix pericoloso di arroganza e confusione che non promette nulla di buono per gli Stati Uniti e per il mondo.



Realtà che si incrinano: Sfasamenti

Ci sono storie che giocano con l’inquietudine del paranormale, e altre che osano spingersi oltre, insinuandosi nei territori del possibile e dell’alternativo. Sfasamenti, uscito nella collana Innsmouth di Delos Digital, appartiene a entrambe le categorie: un racconto che mette in scena non solo il ritorno di presenze dall’aldilà, ma anche la vertigine di un universo che potrebbe sdoppiarsi, moltiplicarsi, disallinearsi sotto i nostri occhi.

Anna, la protagonista, inizia a percepire anomalie nella sua vita quotidiana: ambienti che cambiano consistenza, figure amate e perdute che sembrano tornare a camminare accanto a lei, una voce che la raggiunge al telefono da un altrove inspiegabile. Non è più chiaro se si tratti di fantasmi, allucinazioni… o di realtà parallele che si insinuano nella sua esistenza.

Il racconto procede come un varco che si apre a poco a poco: non offre certezze, ma inquietanti possibilità. La dimensione paranormale si intreccia con l’ipotesi di mondi alternativi, lasciando al lettore il brivido del dubbio e la sensazione di aver sfiorato qualcosa di più grande, e di più oscuro, della semplice realtà.

Per chi ama i racconti che oscillano tra la ghost story e il fascino del multiverso, Sfasamenti è una lettura intensa, capace di lasciare tracce sottili e persistenti.

👉 Maggiori dettagli qui: Delos Digital – Sfasamenti

venerdì 22 agosto 2025

Franco Fontana all’Ara Pacis

FRANCO FONTANA© PHOENIX ARIZONA

Il Museo dell’Ara Pacis dedica una grande retrospettiva a Franco Fontana, maestro della fotografia a colori. Le sue immagini, spesso vicine all’astrattismo, trasformano paesaggi e architetture in giochi di linee e cromie vibranti. Una ricerca tecnica e stilistica instancabile che, dagli anni ’70 a oggi, ha saputo ridefinire il nostro modo di guardare il mondo.

Si tratta di una mostra interessante e stimolante, che vale senz’altro la visita. Con un piccolo consiglio pratico: presentatevi ben coperti, visto che l’aria condizionata è impostata su temperature glaciali, quasi a voler trasformare il percorso espositivo in un’esperienza “polare”.

👉 Scopri di più qui.

Piscina, 1983 ©Franco Fontana


giovedì 21 agosto 2025

Quando Marlene Dietrich voleva uccidere il Führer

Ucciderò il Führer è un racconto lungo, pubblicato da Delos Digital nella collana dedicata alle ucronie, ambientato nella Berlino degli anni ’30, tra locali notturni, intrighi e ombre del regime nazista. 

La protagonista è la star del cinema Marlene Dietrich, una donna dal fascino magnetico e dalla determinazione inattesa, che si muove tra seduzione e pericolo, fino a concepire un piano folle: cambiare il corso della Storia.

In poche pagine si intrecciano tensione politica, atmosfere noir e un sottile gioco psicologico che rende la lettura rapida ma intensa. Una storia che cattura per il ritmo serrato e per la sua capacità di evocare un’epoca cupa con toni quasi cinematografici.

👉 Scopri il racconto, disponibile per tutte le piattaforme digitali, qui: Ucciderò il Führer

mercoledì 20 agosto 2025

Il descrittivismo come degenerazione della scrittura

Ho scritto una nuova riflessione sul sito Libri e Parole, dedicata a un tema che mi sta  molto a cuore: l’eccesso descrittivo in letteratura (e non solo, visto che la tendenza dilaga anche nei film e nelle serie televisive).

Mi spiego meglio: sempre più spesso, leggendo romanzi contemporanei, si ha la sensazione che gli autori non si fidino del lettore, saturando ogni pagina di dettagli, spiegazioni e descrizioni minuziose, al limite della pedanteria. Ma cosa succede alla narrativa quando non lascia più spazio al silenzio, all’intuizione, al mistero, al "non detto"?

Nel mio editoriale provo a mettere a fuoco questo problema, chiedendomi se non sia anche il frutto di un tempo dominato dal Web, dalle serie tv e da un bisogno costante di chiarezza immediata, col rischio di cadere facili prede di una frettolosa superficialità.

martedì 19 agosto 2025

Il Gattopardo di Netflix: un’eredità rinnovata

Un confronto difficile

Impossibile non mettere a confronto Il Gattopardo di Luchino Visconti con la nuova miniserie Netflix, rilasciata sulla piattaforma lo scorso marzo: da un lato, un monumento assoluto del cinema italiano, dall’altro un adattamento contemporaneo, pensato per risuonare con sensibilità moderne. Eppure, la serie non solo regge la sfida: sorprende in positivo.

Il cast che fa la differenza

Kim Rossi Stuart interpreta Don Fabrizio Corbera, Principe di Salina, infondendogli un carisma intenso e incisivo, capace di restituire la profondità dell’animo aristocratico in tramonto (Wikipedia, GQ Italia).

Accanto a lui, Saul Nanni veste i panni di Tancredi Falconeri, giovane astuto, brillante e animato da un ideale, che si muove tra due mondi con fascino e ambiguità (WikipediaGQ Italia).
Deva Cassel, nel ruolo di Angelica, porta una fresca sensualità e una tensione interiore complessa, lontana dai cliché del confronto inevitabile con la Cardinale viscontiana (WikipediaGQ Italia).
Benedetta Porcaroli, infine, dona a Concetta uno spessore emotivo rinnovato, trasformando il suo dolore in forza interiore e nuova voce dell’aristocrazia che cambia (GQ ItaliaCuriosando in giro).

Una colonna sonora emozionante

A impreziosire la serie c’è la magnifica colonna sonora di Paolo Buonvino, che fonde sonorità classiche con tocchi moderni, capaci di evocare una Sicilia malinconica e vibrante al contempo (Sicilian Stories, MusicPaper). In particolare, il valzer creato per la scena del ballo tra Angelica e il Principe è carico di tensione emotiva: un momento musicale che anticipa il monologo finale del protagonista, condensando in note l’essenza del suo mondo interiore (Cam Sugar Journal -).

Una scommessa riuscita

Nonostante il Gattopardo di Visconti resti un capolavoro insuperabile — con le sue immagini pittoriche, la grandezza visiva, il cast leggendario — la miniserie Netflix riesce a costruirsi una dignità artistica propria. La recitazione misurata di Kim Rossi Stuart & co., la nuova sensibilità narrativa e l’ispirata colonna sonora di Buonvino ne fanno un adattamento che non sfigura affatto accanto al maestoso original. Un racconto che sa rinnovare il passato senza tradirne la memoria.

lunedì 18 agosto 2025

No Rain, No Flowers: il ritorno vincente dei Black Keys

Con No Rain, No Flowers i Black Keys firmano un ritorno sorprendentemente luminoso e intimo: un disco che trasforma le difficoltà recenti in un viaggio musicale dal sapore positivo, avvolgente e quasi terapeutico. 

Le canzoni, tra ballate riflessive e groove più sostenuti, si distinguono per la scelta sonora volutamente vintage, con la chitarra di Dan Auerbach che rievoca il calore degli anni ’60 e ’70, tra psichedelia soffusa, rock sudista e blues elettrico dal timbro retrò. 

Il risultato è un album riuscito che, pur restando fedele all’anima del duo, abbraccia un linguaggio più maturo e accogliente, capace di regalare energia e malinconia in perfetto equilibrio.



domenica 17 agosto 2025

Il re della televisione non c'è più

Pippo Baudo ci ha lasciato ieri, e con lui un pezzo della nostra storia. La sua presenza ha accompagnato le nostre vite fin dall’infanzia, con quella naturalezza che solo i grandi sanno avere: il volto rassicurante delle domeniche in famiglia, delle grandi prime serate, dei Festival di Sanremo che restano incisi nella memoria collettiva.

Ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente e di apprezzarne la cordialità e la signorilità: un uomo colto, curioso, appassionato non solo di musica, ma anche di teatro, letteratura, arte. La sua grandezza stava anche nella capacità rara di coniugare “il basso” e “l’alto”, la leggerezza popolare e l’approfondimento culturale, senza mai far percepire stonature.

Fu anche un infallibile talent scout, che lanciò al grande pubblico artisti destinati a lasciare il segno: da Andrea Bocelli a Laura Pausini, da Al Bano a Beppe Grillo, da Heather Parisi a Lorella Cuccarini, da Giorgia a Eros Ramazzotti. Intuizioni felici che raccontano la sua sensibilità e la sua capacità di leggere il futuro.

Negli anni ’80 subì un’accusa velenosa da parte dell’allora presidente Rai Manca,  di fare una televisione "nazional-popolare", ma seppe trasformare quella ferita in un motivo di vanto, affrontando la vicenda con la dignità e la tempra che lo contraddistinguevano.

Senza Baudo la nostra televisione e la nostra cultura popolare non sarebbero state le stesse. È un dato di fatto. Nell'attuale panorama televisivo, sguaiato e volgare, dominato da mezze tacche assurte al rango di pseudo star, la sua mancanza lascia un vuoto temo incolmabile.

sabato 9 agosto 2025

Addio al grande Berengo Gardin


Gianni Berengo Gardin è stato uno dei più grandi maestri della fotografia italiana e internazionale. Anni fa ebbi la fortuna di visitare una bella mostra a lui dedicata al Palazzo delle Esposizioni di Roma: un viaggio emozionante attraverso il suo sguardo lucido e poetico, capace di raccontare l’Italia, la sua gente, le sue città e le sue trasformazioni.

Berengo Gardin non è stato solo un fotografo di straordinario talento, ma anche un uomo di profondo impegno civile. Le sue immagini hanno denunciato, documentato, testimoniato: dai manicomi prima della legge Basaglia, alle grandi opere contestate, fino ai cambiamenti sociali e ambientali del nostro Paese.

Coerente fino in fondo con la propria visione, non amava il colore, la fotografia digitale e l'utilizzo di Photoshop, convinto che la fotografia dovesse essere verità, non manipolazione. In un’epoca in cui le immagini vengono continuamente manipolate, la sua fedeltà al bianco e nero e alla purezza dello scatto resta un atto di coraggio e di integrità artistica, che sa di sana ribellione.

Lo salutiamo con ammirazione sconfinata e gratitudine, sapendo che le sue fotografie continueranno a parlarci, a interrogarci e a ricordarci che guardare il mondo con attenzione è il primo passo per capirlo e tentare di cambiarlo.

Su RaiPlay è presente un bel documentario sul grande fotografo, che vi consiglio di vedere. Non è lungo ed è ben fatto.


giovedì 7 agosto 2025

"Help!" dei Beatles compie 60 anni

"Help!" compie gli anni: quando i Beatles iniziarono a crescere davvero


Era l'agosto del 1965 quando usciva Help!, quinto album in studio dei Beatles. Un disco troppo spesso sottovalutato, magari oscurato dalla rivoluzione psichedelica che verrà solo un paio d'anni dopo, ma che segna un passaggio fondamentale nella storia dei Fab Four.


Con Help!, John, Paul, George e Ringo iniziano ad abbandonare la spensieratezza degli esordi e a sperimentare nuove soluzioni musicali e tematiche più personali. Non è ancora Revolver, certo, ma è già molto oltre A Hard Day’s Night. Basta ascoltare You’ve Got to Hide Your Love Away, con quel flauto dolente e la voce solista che sanno di Bob Dylan, o Ticket to Ride, con la sua andatura lenta e ipnotica, per accorgersi che qualcosa sta cambiando.


È anche il disco di Yesterday, il primo vero brano “solo” di Paul, già proiettato verso territori sonori tutti suoi. E non dimentichiamo che George Harrison firma qui due canzoni, timido ma deciso a uscire dall’ombra dei due giganti Lennon-McCartney.


Il brano che dà il titolo all’album, Help!, sembra a prima vista solo un altro pezzo orecchiabile da classifica. In realtà è molto di più. John Lennon lo scrisse in un momento di forte crisi personale, quando la fama travolgente dei Beatles iniziava a fargli sentire un vuoto interiore profondo. È una richiesta d’aiuto vera, sincera, quasi disperata — nascosta sotto una melodia accattivante. Lo disse lui stesso, anni dopo: avrebbe voluto registrarla più lentamente, per farne emergere il tono malinconico. Ed è proprio questo contrasto tra musica vivace e parole tormentate a fare della canzone un piccolo capolavoro di ambiguità emotiva. Tra l'altro mantiene inalterata tutta la sua carica d'energia, ancora oggi, in questo nostro 2025 dilaniato da confltti, carestie e disastri climatici. La richiesta d'aiuto urlata nel brano non potrebbe essere più attuale.


Insomma, Help! è il punto in cui i Beatles cominciano a guardarsi dentro, ad allargare lo sguardo, a costruire quel ponte che li porterà al capolavoro di Revolver e oltre. Un album di transizione? Forse. Ma che transizione straordinaria.






sabato 2 agosto 2025

2 agosto 1980: Bologna e l'Italia non dimenticano

Quarantacinque anni dopo, il boato che squarciò Bologna la mattina del 2 agosto 1980 continua a risuonare sinistro nella memoria collettiva del Paese. Alle 10:25 una bomba ad alto potenziale esplose nella sala d’aspetto della stazione, causando 85 morti e oltre 200 feriti. Fu la più grave strage compiuta in Italia in tempo di pace, un attentato di chiaro stampo neofascista, parte di quella che oggi definiamo “strategia della tensione”, e che vide convergere intenti e interessi oscuri, spesso protetti da apparati deviati dello Stato.

Nonostante le sentenze e le condanne, non tutto è stato chiarito. I nomi degli esecutori materiali sono noti — tra loro membri dei NAR, i Nuclei Armati Rivoluzionari — ma restano ancora zone d’ombra attorno ai mandanti, alle complicità, e alle coperture istituzionali. Chi volle quella strage, chi la favorì, chi ne ha occultato prove e verità per decenni?

Per chi era a Bologna quel giorno, il ricordo è indelebile. Per me, il 2 agosto rappresenta anche una memoria personale. La zia di un caro amico d’infanzia si trovava in stazione quella mattina, ma si salvò solo perchè aveva lasciato l’edificio pochi minuti prima dell’esplosione. Un dettaglio fortuito, quasi insignificante in apparenza, che invece segna per sempre un confine sottile tra la vita e la morte, tra l’orrore e la salvezza.

Ricordo bene, quando, assieme ai miei genitori, ci recammo alla fine di agosto sul luogo della tragedia, lo shock provato davanti all'enorme squarcio che sfregiava la stazione. Ebbi la sensazione che quello fosse uno strappo nel tessuto connettivo della realtà stessa.

Ricordare oggi non è solo un dovere civile: è un atto politico e morale. Perché la memoria non si archivia, e le verità non dette continuano a pesare sulla nostra democrazia. Bologna non dimentica, e neppure noi.



Il business della rabbia sui social

C’è un filo nero che attraversa i social, e Facebook più di tutti: la violenza verbale . Ogni giorno assistiamo a una marea di insulti, sar...