venerdì 29 novembre 2024

Agency, il sequel/prequel di William Gibson

È stata da poco pubblicata una mia recensione di Agency di William Gibson sul blog magazine Libri e Parole

Il romanzo, seguito di Inverso, amplia l'universo narrativo creato dall'autore, ma risulta a mio parere eccessivamente complesso e frammentato, con un numero elevato di personaggi che può confondere (e anche stancare, diciamocelo) il lettore.

La recensione completa è disponibile qui.



giovedì 28 novembre 2024

Povera patria

 

Povera patria

Povera patria
Schiacciata dagli abusi del potere
Di gente infame, che non sa cos'è il pudore
Si credono potenti e gli va bene quello che fanno
E tutto gli appartiene
Tra i governanti
Quanti perfetti e inutili buffoni
Questo paese devastato dal dolore
Ma non vi danno un po' di dispiacere
Quei corpi in terra senza più calore?
Non cambierà, non cambierà
No cambierà, forse cambierà
Ma come scusare
Le iene negli stadi e quelle dei giornali?
Nel fango affonda lo stivale dei maiali
Me ne vergogno un poco e mi fa male
Vedere un uomo come un animale
Non cambierà, non cambierà
Sì che cambierà, vedrai che cambierà
Si può sperare
Che il mondo torni a quote più normali
Che possa contemplare il cielo e i fiori
Che non si parli più di dittature
Se avremo ancora un po' da vivere
La primavera intanto tarda ad arrivare

(Franco Battiato, 1991)

lunedì 25 novembre 2024

Anche tu su Bluesky? Certamente!

Avviso ai naviganti del Web e agli instancabili frequentatori di social network: da qualche settimana anche il sottoscritto è approdato su Bluesky (@luigimilani.bsky.social)

Com'è noto, Twitter, da quando è stato rilevato e ribattezzato maldestramente X (lettera che fa pensare a contenuti a luci rosse o, per gli appassionati di fumetti Marvel, agli X-Men) da Elon Musk è diventato una cloaca propagandistica smaccatamente filo Trump che dà spazio a troll, fake news, veleni, odio e flame war. 

Pertanto non scriverò più tweet sull'ex Twitter, che pure ho frequentato per diversi anni. Pazienza, lo lascerò infestare dai vari bot e troll filoputiniani e spacciatori di fake news a go-go.

venerdì 22 novembre 2024

Live At Fillmore East, 1969 – Crosby, Stills, Nash & Young

Quando si parla di armonie vocali e sensibilità folk rock, Crosby, Stills, Nash & Young sono l'epitome del suono di una generazione in cerca di cambiamento. Live At Fillmore East, 1969 è molto più di un semplice album dal vivo; è una finestra su un’epoca e su un gruppo all'apice della loro forza creativa e carismatica.

Registrato al Fillmore East di New York, locale iconico per la scena rock degli anni ’60, questo disco sorprende per la straordinaria qualità sonora, insolita per le registrazioni live di quegli anni. Sin dalla prima traccia si resta colpiti dalla chiarezza delle voci e dalla profondità del mixaggio, che riesce a mantenere intatte sia la complessità delle armonie vocali sia la vibrazione autentica degli strumenti. Anche i dettagli più sottili, come gli arpeggi delle chitarre e le lievi variazioni vocali, risaltano con una nitidezza incredibile, portando l’ascoltatore a percepire quasi fisicamente l’energia della performance.

Le esibizioni live di brani come Suite: Judy Blue Eyes e Helplessly Hoping rivelano non solo l'incredibile armonia tra Crosby, Stills, Nash e Young, ma anche la loro capacità di trasportare il pubblico in un'esperienza intima, come se ci si trovasse nella stessa stanza con loro. L'atmosfera si carica di emozioni e tensioni tipiche del periodo post-Woodstock: un'epoca segnata da ideali di pace, amore e protesta.

A tratti l’ascolto trasporta in una dimensione più elettrica, con l’entrata in scena di Neil Young che aggiunge una nota di inquietudine e sperimentazione. La sua presenza è una sorta di scossa elettrica per il gruppo, portando improvvisazioni più ruvide e acuminate, che esprimono perfettamente la dualità tra folk e rock e incarnano l’anima più grintosa della band.

Live At Fillmore East, 1969 è un disco che vale la pena riscoprire non solo per la qualità musicale e la perfezione delle armonie, ma per ciò che rappresenta come documento storico e, perchè no, anche per la sorprendente resa sonora. È un tributo a un’epoca irripetibile e un monito di ciò che la musica può fare quando è guidata dalla pura passione e dal desiderio sincero di un mondo migliore.

giovedì 21 novembre 2024

L’Empire: Star Wars... alla francese

L’Empire di Bruno Dumont è un’opera bizzarra e un po' folle, che intreccia fantascienza e satira sociale, ambientata in un villaggio di pescatori nel nord della Francia, teatro di un’imminente battaglia tra forze extraterrestri. Tuttavia, se ci si aspetta un film di fantascienza vero e proprio, si resterà sconcertati, se non delusi.

Presentato alla Berlinale 2024, il film esplora temi universali come la polarizzazione del pensiero, la lotta tra bene e male e la ricerca della libertà, giocando con il linguaggio della parodia e della critica sociale.

La pellicola mescola elementi visivi che ricordano i grandi kolossal fantascientifici, da Guerre Stellari a Dune, ma li ribalta verso il grottesco e il camp stile Balle Spaziali. Questa scelta stilistica, se da un lato arricchisce il film di ironia e originalità, dall’altro lo porta talvolta a sfociare nel ridicolo (in)volontario, complicando la ricezione dello spettatore. Alcuni momenti visivi e narrativi sembrano eccessivi, quasi caricaturali, rendendo difficile mantenere il giusto equilibrio tra parodia e serietà.

Dumont, fedele al suo approccio filosofico e provocatorio, utilizza la fantascienza come mezzo per interrogarsi sulla società moderna e sull’incomunicabilità. Tuttavia questa stratificazione di toni e generi spesso sconcerta e disorienta, pur offrendo spunti di riflessione sulla condizione umana e sull’eterna tensione tra corpo e spirito.

In conclusione, L’Empire rappresenta certamente un esperimento cinematografico audace, a tratti incoerente, sicuramente unico. Interessante per chi ama il cinema che sfida le convenzioni, a patto però di accettarne i rischi e le imperfezioni. 




domenica 17 novembre 2024

Kill Switch - La guerra dei mondi: un esperimento mal riuscito

Diretto da Tim Smit, il film Kill Switch (2017), da noi ribattezzato (vecchio vizio italico, quello di alterare i titoli) Kill Switch - La guerra dei mondi, poteva essere un'opera affascinante: un esperimento scientifico per salvare il mondo da una crisi energetica che prende una piega catastrofica. 

Tuttavia questa premessa intrigante si perde in una narrazione confusa e poco chiara. La trama si aggroviglia tra pseudoscienza mal spiegata e intrecci narrativi che non riescono mai a decollare davvero e finiscono per annoiare.

A rendere ancora più pesante la visione è la scelta del regista di affidarsi quasi interamente al P.O.V. (Point Of View). Quella che poteva essere una trovata stilistica interessante si trasforma presto in un'esperienza noiosa e ripetitiva, simile a un videogame di lusso. Il P.O.V. infatti, usato così a lungo, non solo diventa banale ma riduce ogni senso di coinvolgimento, facendoci sentire più spettatori distaccati che protagonisti.  

Non bastano una buona idea e qualche effetto visivo azzeccato a salvare la pellicola, che rimane un'occasione sprecata, un esperimento cinematografico che fallisce nel lasciare il segno.

venerdì 15 novembre 2024

La sinistra squadra di governo del Trump II

Nella splendida vignetta di Steve Ditko sono raffigurati I Sinistri Sei, banda di super criminali che perseguita L'Uomo Ragno. Image © Marvel Comics

Come nei peggiori incubi distonici, il neo eletto "presidente pazzo" Trump sta allestendo una squadra degna della sua caratura morale: sospetti pedofili, no-vax complottisti, tutti soggetti a dir poco controversi. 

Qualche nome: il debordante Elon Musk, miliardario megalomane e instabile alla guida del nuovo Doge, una governatrice “killer di cani” alla sicurezza interna, un ex colonnello delle forze speciali a dir poco "falco", nonché ferocemente anti femminista  alla sicurezza nazionale, Marco Rubio Segretario di Stato. Il no vax Robert F. Kennedy Jr. (di fatto "ripudiato" dalla famiglia Kennedy) sarà ministro alla Salute. 

Dulcis in fundo, due avvocati dell'orrido Trump ai vertici della Giustizia. Quest'ultima nomina non vi ricorda un certo Cavaliere di casa nostra? D'altro canto, non che la pattuglia governativa di casa nostra si presenti poi tanto meglio...

lunedì 11 novembre 2024

I disordini di Bologna e le provocazioni studiate a tavolino

I disordini di Bologna di sabato scorso non solo hanno evidenziato gravi tensioni sociali, ma anche il tono sempre più preoccupante del dibattito politico che circonda queste vicende.

I commenti dell'immancabile Salvini, paradossali e provocatori, sembrano voler esasperare una situazione già complessa, anziché offrire una risposta seria e ponderata. Parole che, anziché stemperare, creano scompiglio e aumentano la percezione di una frattura profonda tra le istituzioni e le esigenze della società civile.

La situazione è ulteriormente degenerata nello scontro  tra il sindaco di Bologna e il Ministro Piantedosi, senza contare le parole del(la) Presidente del Consiglio. 

In sostanza il Governo, invece di adottare un approccio equilibrato, ha reagito con dichiarazioni fuori luogo, contribuendo a polarizzare ulteriormente il dibattito. Così le istituzioni, anziché assumersi la responsabilità di un dialogo costruttivo, scelgono la strada dello scontro verbale e della delegittimazione.

Questi atteggiamenti sollevano una questione urgente: è accettabile che chi rappresenta lo Stato scelga di alimentare una retorica provocatoria, ignorando la necessità di confronto e diplomazia? 

In un momento storico in cui la società ha bisogno di dialogo e di stabilità, i leader istituzionali dovrebbero ricordare che ogni parola ha il potere di unire o dividere.


 

La città e le sue mura incerte di Haruki Murakami

Il grande Haruki Murakami torna a stregare con la sua narrazione unica, capace di intrecciare mistero, solitudine e percorsi onirici in un complesso e quantomai stimolante viaggio letterario, in bilico tra reale e immaginario.  

La città e le sue mura incerte ci conduce in un mondo intriso di riflessioni esistenziali e atmosfere surreali. Se siete curiosi di scoprire cosa ci riserva quest’ultimo romanzo, trovate la mia recensione completa a questo link, sulle pagine del blog magazine Libri e Parole.

Buona lettura!


 

venerdì 8 novembre 2024

Il complotto contro l'America: distopia o possibile realtà?

Oggi sul blog magazine Libri e Parole recensisco uno tra i più riusciti romanzi di Philip Roth, Il complotto contro l'America. Il libro risulta tristemente attuale alla luce della sciagurata rielezione di Donald Trump, evidenziando i rischi legati a una leadership populista e divisiva in un paese fragile dal punto di vista sociale. 

Nel romanzo, Roth immagina una realtà alternativa in cui Charles Lindbergh, celeberrimo aviatore "eroe" e simpatizzante fascista, diventa presidente degli Stati Uniti e, con il suo carisma, introduce politiche xenofobe e antisemite che destabilizzano il tessuto democratico e mettono in pericolo la vita e la libertà delle minoranze.

Questa inquietante distopia storica può essere vista come una riflessione su quanto una figura con tendenze autoritarie e un’abilità nel fomentare divisioni possa sfruttare il sistema democratico per accedere al potere. La rielezione di Trump, con il suo bagaglio di retorica incendiaria, potrebbe far temere un ritorno a politiche e dichiarazioni che minacciano la coesione sociale e che suscitano il timore di un degrado dei principi democratici. Entrambi i contesti – quello del romanzo e quello attuale – pongono la stessa domanda: può una democrazia resistere a leader che sfidano apertamente la verità e alimentano paure e divisioni?

Nel romanzo, le comunità minoritarie subiscono un’escalation di violenza e discriminazione che l’America di Roth avrebbe rifiutato, ma che sotto la guida di Lindbergh finisce per accettare. Analogamente, il ritorno di Trump potrebbe rappresentare una minaccia per i diritti delle minoranze e un passo indietro rispetto a un'idea di uguaglianza sociale. 

P.R. ci ricorda che la democrazia è fragile e può essere messa in pericolo da leader che manipolano il consenso per creare un ordine più iniquo e meno inclusivo.





mercoledì 6 novembre 2024

The return of the crazy president

This year’s American elections, which saw the triumph of the former "mad president" Trump, represent a moral defeat and a serious concern for anyone who cares about the future of democracy and global peace.

With deep disappointment, we witness the election of a man who, based on his past, does not deserve to represent even a small community, let alone one of the world's superpowers.

The aging tycoon, accustomed to shamelessly lying and twisting the truth, has seized power through a cocktail of populism, demagoguery, and falsehoods. This is not just a disaster for America: the consequences of this election will also impact Europe and the entire world, threatening an already fragile international order.

We cannot ignore the impact that this dangerous individual’s actions will have on crucial policies such as climate change, international security, and civil rights.

In this dark moment, only the hope remains that the American democratic fabric can serve as a barrier against potential dangerous drift. But we in Europe must also be ready to respond.


© photo: Fulton County Sheriff's Office/Getty Images



Un giorno buio per la democrazia e la stabilità globale

Le elezioni americane di quest'anno, che hanno visto il trionfo dell'ex "presidente pazzo" Trump rappresentano una sconfitta morale e una preoccupazione grave per chiunque abbia a cuore il futuro della democrazia e della pace globale. 

Con profonda delusione assistiamo all'elezione di un uomo che, per il suo passato, non meriterebbe di rappresentare neppure una piccola comunità, figuriamoci una delle superpotenze mondiali. 

L'anziano tycoon, abituato a mentire spudoratamente e a manipolare la verità, ha ottenuto il potere grazie a un cocktail di populismo, demagogia e falsità. Non è solo un disastro per l'America: le conseguenze di questa elezione ricadranno anche sull'Europa e sul mondo intero, minacciando un ordine internazionale già fragile.

Non possiamo ignorare l’impatto che le azioni di questo pericoloso individuo avrà su politiche cruciali come il cambiamento climatico, la sicurezza internazionale e i diritti civili. 

In questo momento buio, resta solo la speranza che il tessuto democratico americano riesca a fare da argine a eventuali derive pericolose. Ma anche noi, in Europa, dobbiamo essere pronti a reagire.



martedì 5 novembre 2024

Un novembre da leggere

Puntuale come sempre, è on line l'amatissima rubrica mensile dei libri da leggere, che torna con un cambio di rotta rispetto alla scorsa puntata. 

Se prima avevamo fatto un’immersione tra saggi e opere comunque non-fiction, questo mese ho voluto puntare tutto sulla narrativa – perché, diciamocelo, niente batte una bella storia che ti rapisce e ti fa dimenticare il mondo! 

Quindi preparatevi a un mix di romanzi freschi freschi, scelti un po’ fuori dagli schemi e, spero, qualche sorpresa che vi invogli a passare qualche serata tranquilla in compagnia di ottimi personaggi e trame coinvolgenti.

lunedì 4 novembre 2024

The triumphant return of The Cure: Songs of a Lost World

 

This is the end of every song that we sing

The fire burned out to ash and the stars grown dim with tears

Cold and afraid, the ghosts of all that we've been

We toast with bitter dregs, to our emptiness

Welcome back, Cure! After a full 16 years of waiting, Songs of a Lost World shows that Robert Smith and company have no intention of changing to follow trends. Instead, their music continues to resonate with the dark and furious strength that has always defined them.

The arrangements, powerful and proudly “out of style,” are a testament to their loyalty to an unmistakable and timeless sound. The tracks are long, often eight minutes, with instrumental intros that feel like a slap in the face to the bad habit of throwaway pop tunes with choruses mere seconds into the song.

Already the opening track, Alone, which previewed the album's release at the end of September, with its long instrumental intro, dark sound, and melancholy melody, confirms the band’s exceptional form, born in the late '70s, during the post-punk era.

The album stands as a manifesto, a declaration of style (and substance) that seems to say, “We’re back, and we won’t bend.” At times it borders on symphonic rock, solemn and powerful.

The guitars, enhanced by the mastery of Reeves Gabrels (long-time guitarist with David Bowie), cut with sharp depth, while the drums hammer with precision and intensity, lending the sound a no-compromise quality.

For long-time fans and those primarily seeking authenticity, Songs of a Lost World is a precious gift. Welcome back, Robert Smith, welcome back, Cure!



Quincy Jones: genio musicale e artefice di collaborazioni leggendarie

Pochi artisti possono vantare un impatto sul mondo della musica profondo quanto quello di Quincy Jones. Musicista versatile e visionario, Jones ha plasmato il sound del jazz, pop, soul e della musica orchestrale per oltre sette decenni, lasciando un segno indelebile. 

Dal suo lavoro con artisti come Frank Sinatra e Michael Jackson al tocco raffinato che ha portato nelle produzioni di George Benson e al progetto filantropico We Are the World, l’influenza di Jones continua a risuonare in tutto il mondo.

La collaborazione con Frank Sinatra: un’alchimia irripetibile

Negli anni ’60, Quincy Jones avviò una collaborazione con Frank Sinatra che sarebbe diventata una delle più fruttuose nella storia della musica. Sinatra, con la sua voce senza tempo ed eleganza, trovò in Jones l’abbinamento perfetto per esaltare le sue interpretazioni.

Il loro album Sinatra at the Sands (1966) è un esempio straordinario di questa sinergia, dove gli arrangiamenti raffinati e innovativi di Jones si fondono perfettamente con la voce di Sinatra, creando un’atmosfera classica e sofisticata. Lo stesso Sinatra considerava Jones un maestro musicale, capace di cogliere l’atmosfera di ogni brano arricchendolo senza mai sovrastarlo.

Michael Jackson: ridefinire il Pop

Negli anni ’80, Quincy Jones diede vita a una collaborazione che avrebbe cambiato per sempre il pop: il suo lavoro con Michael Jackson. A partire da Off the Wall (1979), seguito dal leggendario Thriller (1982) e Bad (1987), questo sodalizio raggiunse lo status di icona.

Jones sfruttò il talento esplosivo di Jackson, modellando il suo sound con una produzione meticolosa che fuse pop, soul, funk e sonorità elettroniche. Thriller, con brani immortali come Billie Jean e Beat It, divenne non solo l’album più venduto di tutti i tempi, ma anche un fenomeno culturale globale. Jones e Jackson formarono un duo capace di catturare e ridefinire lo spirito di un’epoca, stabilendo nuovi standard per l’intera industria musicale.

George Benson: eleganza e Jazz Pop

Quincy Jones portò anche il suo tocco distintivo nella carriera del chitarrista jazz George Benson, dimostrando la sua capacità di riconoscere e valorizzare il talento puro. Con Give Me the Night (1980), Jones regalò a Benson una dimensione jazz-pop, fondendo chitarra, voce e groove in un mix irresistibile.

Le sue produzioni per Benson erano sofisticate e ricche di texture, dando al jazz un sound fresco e accessibile che riusciva così a raggiungere un vasto pubblico, prima inaccessibile.

We Are the World: Un inno alla solidarietà

Nel 1985 Quincy Jones promosse un’iniziativa che sarebbe entrata nella storia: il singolo benefico We Are the World. Riunendo una costellazione di stelle, tra cui Lionel Richie, Stevie Wonder, Michael Jackson, Bruce Springsteen, Bob Dylan e molti altri ancora, Jones produsse un inno per sostenere le popolazioni africane colpite dalla carestia.

We Are the World divenne molto più di una semplice canzone di beneficenza; fu la prova del potere della musica come strumento di cambiamento sociale. Il progetto era monumentale, ma la direzione abile di Jones trasformò ciò che poteva essere una semplice esibizione in una potente dichiarazione collettiva, dimostrando la forza unificante della musica.

Un Artista Solista dallo stile inconfondibile

Oltre ai suoi successi collaborativi, Quincy Jones ha dato contributi significativi come artista solista, in particolare con l’album The Dude (1981). Questo disco, dal sound tuttora rivoluzionario, portò il suo talento come produttore e compositore in primo piano, fondendo jazz, funk e R&B in modo innovativo, mettendo in risalto il suo stile distintivo. 

The Dude ricevette il plauso della critica, guadagnando diversi Grammy Awards, e brani come Ai No Corrida e Just Once divennero hit durature.

Jones continuò a innovare con album successivi come lo strepitoso Back on the Block (1989), che riunì un impressionante gruppo di artisti, tra cui Ray Charles, Chaka Khan e Ice-T, fondendo da par suo generi e generazioni in una celebrazione armoniosa della musica afroamericana.

Con Q’s Jook Joint (1995) e From Q, With Love (1999), Jones dimostrò ulteriormente la sua abilità nel collegare jazz, soul e hip-hop, consolidando il suo ruolo non solo come collaboratore, ma anche come artista solista di straordinaria versatilità. Ciascuno di questi progetti ha riaffermato l’eredità di Jones come visionario che ha costantemente spinto i confini della musica, creando un sound senza tempo che continua a ispirare.

Quincy Jones: Un innovatore senza tempo

La diversità e l’eclettismo sono sempre stati i tratti distintivi di Quincy Jones, permettendogli di adattarsi e reinventarsi senza mai sacrificare la qualità o lo spirito di innovazione. La sua capacità di far emergere il meglio in ogni artista con cui ha lavorato, la sua fusione di stili e il talento nel catturare l’essenza di ogni progetto lo consacrano come uno dei produttori più influenti e rispettati della storia.

Jones rimane una leggenda vivente, simbolo di eleganza e passione musicale. Attraverso il suo lavoro, ha costruito ponti tra generi e generazioni, creando una musica che continua a ispirare artisti e appassionati in tutto il mondo.

Quincy Jones: A Musical Genius and Architect of Legendary Collaborations

Few artists can claim an impact on the music world as profound as Quincy Jones. As a versatile and visionary musician, Jones has shaped the sounds of jazz, pop, soul, and orchestral music for over seven decades, leaving an indelible mark. From his work with icons like Frank Sinatra and Michael Jackson to the refined touch he brought to George Benson's productions, and his philanthropic project We Are the World, Jones’ influence continues to resonate worldwide.

Il ritorno trionfale dei Cure: Songs of a Lost World

This is the end of every song that we sing

The fire burned out to ash and the stars grown dim with tears

Cold and afraid, the ghosts of all that we've been

We toast with bitter dregs, to our emptiness

domenica 3 novembre 2024

Dal disco in vinile allo streaming audio, un viaggio di andata e... ritorno?

 
Parafrasando il trito luogo comune della scomparsa delle mezze stagioni, viene spontaneo osservare che sembra aver fatto il suo tempo anche la cosiddetta “canzone dell'estate”. Ci riferiamo al brano musicale che, all'approssimarsi della bella stagione, trasmesso per radio, risuonava poi nei bar e sulle spiagge di tutta Italia. 
 
Questo accadeva in virtù della capillare rete di juke-box presenti fino a qualche anno nei principali esercizi pubblici dediti alla ristorazione.
Oggi, com'è noto, i juke-box sono entrati a far parte di diritto della folta schiera di apparecchi obsoleti, i cosiddetti dead media, per usare un’espressione cara all'amico Bruce Sterling, superati dalle nuove tecnologie e soprattutto da differenti modi di ascoltare la musica, impensabili solo pochi anni fa. Con l'avvento dei primi riproduttori stereo portatili – il celeberrimo Walkman in primis, introdotto con grande acume e lungimiranza dalla Sony di Akio Morita alla fine degli anni '70 e dell'iPod di Steve Jobs in seguito – l'ascolto della musica da fenomeno aggregativo e comunitario è divenuta un'esperienza personale, privata.

 
Anche la rassegna canora itinerante del Festivalbar, momento conclusivo della saga a 45 giri delle canzoni estive, è stato ingloriosamente soppresso. Ma è l'intero mondo della musica che ha subito cambiamenti radicali, coincisi con la scomparsa del supporto fisico – dischi in vinile, musicassette e CD – e, per converso, l'inarrestabile, e per certi versa incorporea, diffusione degli mp3. 
 
Non solo. Il concetto stesso di possesso dell'opera musicale sembra in via di superamento, o destinato all'obsolescenza: le nuove generazioni di ascoltatori preferiscono poter accedere alla musica preferita, onde poterla ascoltare in streaming (wi-fi o cellulare), piuttosto che possedere materialmente l'album, il brano o il videoclip dell'artista preferito. 
 
Sono lontani i tempi in cui le etichette discografiche facevano a gara per realizzare album con grafiche e design particolari, dall'involucro alla busta del disco, fino al tipo di vinile utilizzato, colorato e personalizzato al fine di trasformare il disco in oggetto di collezionismo. Le nuove generazioni di ascoltatori oggi, forse più prosaicamente o, a seconda dei punti di vista, più realisticamente, sembrano badare solo alla “sostanza”, ossia alla musica tout court. 
 
D'altro canto è anche vero che il disco in vinile, dato per spacciato forse troppo in fretta, sta conoscendo un interessante revival, sia pure circoscritto a una elite di raffinati nostalgici, cultori del vecchio suono analogico, a loro detta più caldo e morbido del “freddo” suono digitale dei compact disc, per non parlare degli mp3, formato considerato dagli audiofili alla stregua di spazzatura sonora. 
 
Naturalmente l'industria del disco, agonizzante ma pur sempre combattiva e decisa a spremere fino in fondo i suoi clienti, non poteva restare indifferente davanti all'inaspettata ricomparsa del vinile. Infatti, se all'inizio il fenomeno riguardava solo le ristampe prodotte in edizioni limitate da piccole etichette alternative, dalle dimensioni quasi artigianali, da qualche tempo le major hanno ripreso a stampare gli album dei loro artisti di punta anche su vinile.
 
Corsi e ricorsi, come osservava circa tre secoli fa un pensatore più che illuminato, il grande Giambattista Vico.

sabato 2 novembre 2024

Simulant - Il futuro è per sempre

Simulant - Il futuro è per sempre è un B-movie di fantascienza che si lascia guardare con piacere, nonostante alcuni difetti. La trama esplora temi familiari al genere, come l'intelligenza artificiale e l'eterno conflitto tra umano e sintetico, senza grandi pretese filosofiche, ma con una buona costruzione narrativa.

Il protagonista Robbie Amell, volto noto agli amanti delle serie TV, purtroppo risulta un po' troppo monocorde: sembra puntare più sull'aspetto fisico che sulla profondità interpretativa, lasciando il suo personaggio in superficie. Al contrario, Sam Worthington dimostra ancora una volta la sua bravura, interpretando il suo ruolo con misura e realismo, rendendo il suo ruolo uno dei più riusciti del film.

Nel complesso il film è un’opera dignitosa che, pur rimanendo nei limiti del B movie, intrattiene piacevolmente.



Il business della rabbia sui social

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