Marvels è una di quelle opere che ogni appassionato di fumetti dovrebbe leggere almeno una volta nella vita. Firmata da Kurt Busiek ai testi e da Alex Ross alle iperrealistiche matite, la miniserie rappresenta un omaggio affettuoso e reverente all’universo Marvel classico, raccontato però da una prospettiva del tutto inedita: quella dell’uomo comune. Il protagonista, il fotografo Phil Sheldon, ci accompagna attraverso decenni di storia supereroistica, testimone silenzioso e spesso impotente di eventi straordinari che segnano l’epoca dei "Marvels", appunto.
Dal punto di vista visivo, Marvels è una gioia per gli occhi: l’arte di Ross, con il suo stile pittorico realistico e dettagliatissimo, trasforma ogni tavola in un affresco. Le splash page sono iconiche, i volti sono scolpiti nella memoria e ogni angolo dello sfondo è disseminato di easter egg, cameo, citazioni e strizzate d’occhio, alcune delle quali arrivano perfino da casa DC — una piccola sfida lanciata sottovoce ai lettori più attenti.
E tuttavia, se l’occhio viene appagato in modo quasi commovente, la scrittura risulta meno entusiasmante. La narrazione è fortemente didascalica, a tratti appesantita da un tono enfatico e troppo esplicito, come se Busiek volesse spiegare al lettore ogni singolo significato, ogni metafora, ogni collegamento con l'universo Marvel. L’effetto è che il racconto, pur mosso da sincera ammirazione, tende a soffocare sotto il peso della sua stessa reverenza. Più che una storia, Marvels sembra spesso una lezione di storia del fumetto — affascinante, certo, ma anche un po’ fredda.
Va comunque riconosciuta a Busiek la consueta, mostruosa conoscenza enciclopedica del mondo Marvel, che è una delle sue cifre stilistiche più preziose. I riferimenti incrociati, la capacità di inserire eventi secondari nel grande affresco della continuity e l’umanizzazione delle figure eroiche sono operazioni intelligenti e piene di rispetto per il materiale di partenza.
Marvels è un’opera visivamente straordinaria e intellettualmente stimolante, ma che pecca di un certo eccesso di zelo nella scrittura. Più che una storia da vivere, è una celebrazione da ammirare. E, forse, è proprio questo il suo limite.