Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia ci accompagna in ogni istante, ma fino a che punto è davvero necessaria? Tra gli oggetti che hanno invaso la nostra quotidianità, lo smartwatch rappresenta uno dei simboli più evidenti di una digitalizzazione sempre più pervasiva e, in molti casi, superflua.
Il primo problema dello smartwatch è la sua capacità di trasformare ogni momento in un'occasione di controllo. Contapassi, monitoraggio del battito cardiaco, notifiche continue, possibilità di effettuare e ricevere chiamate telefoniche: invece di liberare, questi dispositivi finiscono per incatenarci a un'ossessione per il dato, per la performance, per la costante connessione. Il battito cardiaco diventa un numero da ottimizzare, il sonno una statistica, il movimento un obiettivo da raggiungere. Ma dov’è finita la naturalezza dell’ascolto di sé?
C’è poi l’illusione di guadagnare tempo: consultare un messaggio al polso sembra più rapido che prendere in mano il telefono, ma il risultato è solo una maggiore distrazione e una dipendenza ancora più subdola. Lo smartwatch rende impossibile staccare, eliminando quella piccola barriera fisica che il cellulare ancora impone. Così, siamo sempre raggiungibili, sempre tracciati, sempre sollecitati.
Inoltre, c’è una questione estetica e culturale: un orologio tradizionale può essere un oggetto di valore, un simbolo di eleganza e personalità. Uno smartwatch, invece, è solo un gadget tecnologico destinato a diventare obsoleto in pochi anni, come un telefono o un laptop. Un altro dispositivo da sostituire, aggiornare e infine, ahinoi, buttare.
Infine, c’è la questione più inquietante: il controllo dei dati. Indossare uno smartwatch significa cedere informazioni preziose sulla nostra salute, i nostri movimenti, le nostre abitudini a grandi aziende, che ne faranno l’uso più conveniente per loro, non per noi.
Abbiamo davvero bisogno di tutto questo? Oppure possiamo imparare a vivere senza la costante ansia di monitorarci, riconquistando il piacere di una vita meno tracciata, meno frenetica, più autentica?
