lunedì 13 ottobre 2025

Un po’ del nostro tempo migliore: i Pooh “progressive”


Pubblicato ben 50 anni fa (1975), l'album Un po’ del nostro tempo migliore rappresenta uno dei vertici creativi dei primi Pooh, secondo forse solo a Parsifal, pubblicato 2 anni prima. Lontana dalle semplici, sia pur ben riuscite canzoni d’amore dei primi anni, la band abbraccia con convinzione il progressive rock, costruendo un album ambizioso e coerente, ricco di suite, cambi di tempo e arrangiamenti complessi. La qualità compositiva è alta: le armonie vocali, l’uso orchestrale dei sintetizzatori e la cura per i testi mostrano una consapevolezza musicale rara nel panorama italiano dell’epoca.

Eppure, accanto ai molti pregi, affiora anche una certa eccessiva solennità. L’album, curatissimo, sembra a tratti più interessato a stupire che a coinvolgere. Non a caso, parte del pubblico - quello più tradizionale, o dai gusti più semplici, se volete - del quartetto non mostrò di apprezzare troppo il disco.

Nonostante ciò, Un po’ del nostro tempo migliore resta un’opera fondamentale nella discografia dei Pooh: un coraggioso tentativo di insistere sulla strada del progressive e di dimostrare, una volta per tutte, che sapevano essere molto più di un gruppo pop di successo.

I brani

Credo

Questo pezzo apre il lato A dopo l’introduttivo Preludio, e stabilisce subito il tono ambizioso e riflessivo dell’album. Il testo di Valerio Negrini è intenso, pieno di una fiducia che si fa forza nei confronti del mondo e nel rapporto con l’altro. 

Musicalmente, l’apporto di Roby Facchinetti è decisivo: tastiere ricche, atmosfere progressive, tempi variabili, arrangiamento che miscela l’orchestrale con il rock (e qualche tensione quasi sinfonica). Si percepisce che il gruppo vuole affermare che è capace anche di questo tipo di composizioni più “alte”, oltre il pop più facile. È uno dei momenti in cui l’album mostra il suo lato più puro, quello che cerca una sintesi tra impegno lirico, melodie, e potenza sonora.

Eleonora, mia madre

Questo brano si distingue per vari motivi. È il primo testo scritto da Stefano D’Orazio, che qui dimostra una sensibilità particolare nel tratteggiare un ritratto emotivo della madre: generazioni, sacrifici, ricordi che fanno male e fanno pensare, la percezione del tempo che passa.

Musicalmente è malinconico, sospeso, quasi un valzer nostalgico come evocazione del passato di una volta. La voce solista è di Red Canzian (assieme a momenti interpretati anche da Roby), e questo è importante: è proprio in questo brano che Red emerge in modo più evidente all’interno di un disco dove altrimenti non ha molte occasioni soliste.
Ciononostante, anche Eleonora, mia madre risente un po’ di quell’eccesso di solennità che caratterizza gran parte dell’album: lirica elevata, arrangiamenti che tendono al romantico/retrò, uso dell’orchestra, contorno strumentale “importante”. Per alcuni ascoltatori, questo è un pregio, ma per altri diventa barriera emotiva, distanza.

Altri brani notevoli

  • 1966: molto citata, come una delle perle del disco. Qui il gruppo raggiunge un equilibrio fra tensione emotiva, sperimentazione strumentale e melodia che resta impressa.

  • Il tempo, una donna, la città: è il brano più epico e lungo dell’album, quasi una suite, con più sezioni, alternanze vocali (Roby, Dodi, Red) e momento strumentale finale. Spesso indicato come “il” pezzo che meglio incarna le aspirazioni progressive del gruppo.

  • Oceano e Mediterraneo (strumentale): contribuiscono al respiro dell’album, al senso di viaggio, evocazione del paesaggio, atmosfere sonore. Mediterraneo, strumentale, è particolarmente riuscito nel creare ambienti sonori suggestivi. 


Il ruolo in ombra di Red Canzian

Red Canzian è presente, oltre che nelle consuete vesti di bassista, anche come voce in alcune parti (anche in Credo, in 1966, in Orient Express e ne Il tempo, una donna, la città) ma è in Eleonora, mia madre che ha il ruolo più evidente di voce solista.

Tuttavia, anche se compare, nel complesso dell’album è un po’ in ombra: le composizioni più importanti, quelle che richiedono strutture progressive o partiture complesse, sono spesso costruite attorno alle voci e alle idee di Facchinetti, Negrini e Battaglia. Qualcuno parlò in proposito di dissidi con l'allora produttore della band, Giancarlo Lucariello, e in effetti dall'album successivo i 4 si produssero da soli.

Anche le parti più liriche e centrali sono affidate ad altri. Questo spiega perché Eleonora, mia madre risulti particolare: è un momento in cui Red non solo canta, ma “incarna” quella distante figura interiore evocata nel testo, ed è un’eccezione rispetto allo stile prevalente del disco.

Gli elementi che rendono Credo, Eleonora, mia madre, 1966 e Il tempo, una donna, la città tra i brani più riusciti sono gli stessi che rivelano anche le tensioni dell’album:

  • L’ambizione compositiva crea momenti potenti, ma diventa a tratti un fardello di eccessiva serietà.

  • L’uso dell’orchestra e di arrangiamenti complessi porta a un'indubbia ricchezza sonora, ma a volte comporta un sacrificio di immediatezza.

  • I testi emotivi, nostalgici, che scavano nelle nostalgia e nel ricordo conferiscono forza drammatica al disco, ma anche un tangibile rischio di eccessiva solennità e distanza da ciò che il pubblico comune stava ascoltando in quegli anni, specie nei gusti che andavano orientandosi verso suoni più leggeri: funky, pop puro, folk-rock meno pomposo e la famigerata disco music.



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