Oggi la Corte dei Conti ha fatto ciò che tutti i cittadini che non sono disposti a farsi prendere in giro si aspettavano: ha rifiutato il visto di legittimità alla delibera del CIPESS n. 41/2025 relativa al progetto del ponte sullo Stretto di Messina.
Non si tratta di un semplice ritardo o di una quisquilia procedurale: la Corte solleva dubbi gravi su costi, iter, trasparenza e conformità normativa.
Ebbene, chi governa – in primo luogo la premier Giorgia Meloni – preferisce bollare tutto come “burocrazia” o “ingerenza” di giudici che rallenterebbero la realizzazione del grande sogno infrastrutturale. Ma questa è la classica mistificazione della realtà: non è la burocrazia a essere l’ostacolo, bensì l’operazione stessa – così come è condotta – ad essere inadeguata, rischiosa e ideologicamente viziata.
Le ragioni della critica
- Non è solo un ritardo tecnico – La Corte non ha chiesto informazioni di routine: ha sollevato questioni su stime di traffico, modalità di scelta dei consulenti, coerenza economica dei costi di progetto.
- Non è un capriccio dei magistrati contabili – In un paese normale controlli come quelli della Corte dei Conti servono a garantire che le opere pubbliche siano effettivamente utili, efficienti e rispettose delle leggi. Qui, tali controlli fanno emergere che il dossier potrebbe non reggere sotto il profilo giuridico, tecnico e finanziario.
- La retorica di “burocrazia” serve a nascondere problemi ben più seri – Se davvero l’ostacolo fosse la lentezza di qualche ufficio, basta snellire i passaggi e far continuare l’iter. Invece, ci troviamo davanti a un via libera annunciato, a una delibera definita strategica, ma che non supera i controlli minimi di legittimità. È evidente che qualcosa non torna.
- Il discorso pubblico è fuorviante – Quando la premier parla di “invasione della giurisdizione”, sta tentando, come suo solito, di spostare l’attenzione dal merito al contenzioso istituzionale. Ma l’argomento non è “chi decide”, bensì “come si decide e perché”.
- Rischio concreto di spreco pubblico e di malaffare – Un’opera del valore stimato di oltre 13 miliardi di euro che non risponde con chiarezza a domande fondamentali (tra cui: chi pagherà, con quali ritorni, quali garanzie ambientali e sismiche) rischia di diventare un buco nero per la finanza pubblica e un’occasione persa per il Sud.
Perché non basta dire “facciamolo subito”
- Per un’opera di queste dimensioni, l‘affermazione “serve sviluppo” non è un lasciapassare: serve pianificazione credibile, dati certi, gara trasparente.
- Chiamare “burocrazia” ciò che invece è controllo significa delegittimare il principio per cui ogni euro pubblico deve essere giustificato.
- Il Sud non si rialza con la propaganda, ma con infrastrutture ben integrate, manutenzione costante, logistica funzionante: e non con un progetto monolitico che sembra concepito più per effetto mediatico che per utilità concreta.
La decisione della Corte dei Conti è una spia rossa – non un ostacolo da aggirare, bensì un campanello d’allarme. Se il governo insiste nel liquidare come “burocrazia” ciò che è invece controllo di legittimità e merito vuol dire che non ha voglia di rendere conto, ma solo di “fare ciò che si è promesso”. E quando si promettono ponti colmare la distanza tra Sicilia e Calabria, non basta lo slideshow della propaganda: servono numeri, garanzie, e trasparenza.
Altrimenti, quel ponte rischia di rimanere non solo inutile, ma dannoso: per le risorse spese, per le opportunità mancate, per la fiducia nelle istituzioni.

 
 
