Ci sono film che nascono sbagliati e che neanche un bravo attore riesce a salvare. Queer, tratto dal romanzo postumo di William S. Burroughs, è purtroppo uno di questi. L’operazione, ambiziosa sulla carta, si rivela sullo schermo un disastro di noia e pretenziosità.
La regia di Luca Guadagnino affoga, come del resto spesso accade nei film diretti dal regista palermitano, in un’estetica manierata, gelida, incapace di restituire l’energia sporca e viscerale dell’opera originale.
La trama si trascina senza ritmo, ingabbiata in dialoghi vacui e in sequenze che sembrano messe lì più per compiacere un pubblico festivaliero che per raccontare davvero qualcosa. Il risultato è un film stanco, svuotato, che si prende tremendamente sul serio senza averne i contenuti.
Eppure, in mezzo a questo naufragio, brilla un faro: Daniel Craig. La sua interpretazione è magnetica, intensa, capace di dare spessore a un personaggio che la sceneggiatura riduce a macchietta. L'ex James Bond con sguardi, pause e un controllo assoluto dei toni, regala una prova straordinaria, l’unico motivo per cui tentare di resistere fino ai titoli di coda.
Peccato che il resto sia solo un involucro vuoto: un film che si dimentica subito, se non per la rabbia di aver sprecato tempo e per la compassione verso l’attore che, da solo, non poteva salvare un’opera già condannata al fallimento.
