Viviamo nell’era della post-verità, dove i fatti sono un dettaglio irrilevante rispetto alla narrazione che chi detiene il potere vuole imporre. La realtà non è più un dato oggettivo, ma un’arma da modellare, distorcere e riscrivere per servire una precisa agenda politica. Tra i massimi esponenti di questa strategia troviamo il "presidente pazzo" Donald Trump negli Stati Uniti e Giorgia Meloni in Italia: due leader accomunati da una retorica populista che trasforma il dibattito pubblico in una costante operazione di mistificazione.
Trump, nel suo stile da venditore aggressivo, ha fatto della menzogna uno strumento sistematico. Dalle elezioni “rubate” del 2020 alla gestione della pandemia, ogni sua affermazione, per quanto palesemente falsa, è stata martellata fino a diventare una verità parallela per i suoi sostenitori. Il suo metodo è semplice: negare l’evidenza, screditare la stampa, gridare al complotto e dipingersi come vittima di un sistema corrotto. È lo stesso schema che lo ha riportato al centro della politica americana, nonostante le innumerevoli accuse e le condanne morali che lo circondano.
In Italia, Meloni adotta un approccio più raffinato, ma altrettanto insidioso. La sua narrazione si fonda su un costante gioco di specchi, in cui il governo non è mai responsabile di nulla e la colpa ricade sempre su “quelli di prima”, su Bruxelles, sugli immigrati o su fantomatici nemici interni. Gli slogan sul “governo dei patrioti” servono a coprire una realtà ben diversa: precarietà dilagante, tagli sociali e un potere concentrato nelle mani di pochi. La propaganda meliana funziona perché si nutre della frustrazione e della paura, offrendo nemici facili da odiare e soluzioni semplicistiche a problemi complessi.
Questa continua manipolazione della realtà non è solo un esercizio retorico: è un attacco alla democrazia. Una società in cui la verità è sacrificabile in nome della convenienza politica è una società destinata al caos. Il rischio, sempre più concreto, è che la menzogna diventi la norma, trasformando il dibattito pubblico in una guerra di percezioni dove chi urla più forte vince.
La domanda, allora, è: quanto siamo disposti a tollerare questa mistificazione prima di reagire?
