lunedì 11 gennaio 2016

Black Star, il commiato capolavoro di David Bowie


Seeing more and feeling less
Saying no but meaning yes
This is all I ever meant
That's the message that I sent

È con cuore pesante che mi accingo a scrivere queste poche righe a commento di Blackstar, ultimo album di David Bowie, vero e proprio capolavoro. Ultimo purtroppo in senso letterale, dal momento che è l'ultimo lavoro al quale si è dedicato, con grande passione e determinazione, in una commovente corsa contro il tempo.

Pubblicato l'8 gennaio 2016, giorno del sessantanovesimo compleanno di Bowie, è prodotto dallo stesso artista e dal fido Tony Visconti, collaboratore storico del Duca Bianco. Comprende 7 brani di rara bellezza, all'insegna di un rock di frontiera – come nella tradizione di Bowie – a tratti solenne, screziato di sonorità jazz. A tratti indulge perfino al progressive, in certi suoni di chitarra e nell'architettura dei brani più complessi, come l'inquietante e ipnotica title-track Blackstar, della durata record di ben 10 minuti, l'agghiacciante Lazarus, e la struggente I Can't give everything away.

Aleggia su tutto l'album un'atmosfera cupa ma non disperata, a tratti anzi epica, scandita da sonorità ricche e potenti e dalla ritmica impetuosa di James Murphy.

Un capitolo a parte sarebbe poi da dedicare alla voce. Forse ancora più esile che nel precedente album The Next Day del 2013, rivela un'intensità interpretativa che si sposa magnificamente con le atmosfere drammatiche di cui è pervaso il disco.

È sempre difficile e fin troppo azzardato attribuire una chiave univoca di lettura ai testi – non di rado oscuri, quasi mai d'immediata interpretazione – di Bowie. Ma forse, almeno in quest'ultima, fatale occasione, può essere un'operazione lecita. Lo stesso Tony Visconti tende a considerare il disco una sorta di sublimazione in chiave artistica del grande mistero della morte.

Blackstar non è certo un album di facile ascolto, lontano com'è anni luce dalle tendenze “usa e getta” imperanti nel Pop e nel rock prefabbricati di oggi. Merita al contrario un ascolto attento e un esame approfondito dei versi. Ma credetemi, ne vale la pena, in virtù non solo dell'oggettivo alto livello artistico, ma direi soprattutto della squassante carica emozionale che riversa sull'ascoltatore.

Tornando ai brani, Sue (Or In a Season of Crime) si presenta molto ritmata, quasi frenetica: incantevole. Girl Loves Me, già ascoltato in passato in un'altra versione, necessita di più ascolti per essere apprezzato come merita. Dollars Day è una ballata quasi tradizionale, punteggiata da un sax strepitoso e da una chitarra che può ricordare i primi King Crimson, il tutto impreziosito nel finale dall'elettronica più spiazzante.

Vorrei infine soffermarmi sul brano che chiude l'album, I Can't give everything away: intenso e coinvolgente, trasmette un senso di malinconia che inevitabilmente sublima in rimpianto. È il brano che preferisco.

La grande novità del disco sono gli arrangiamenti, che più di un critico ha sbrigativamente definito sperimentali, dimenticando però che la voglia di stupire, in primo luogo se stesso, ha sempre caratterizzato l'opera di David Bowie.

Quando, una notte di qualche settimana fa, ho visto sul mio iPad il video di Blackstar, ho subito provato una sensazione di profonda inquietudine. La nenia quasi marziana del brano, sovrapposta a immagini bizzarre, non meno aliene, e alle fattezze sofferte di Bowie, mi hanno scosso profondamente. E il turbamento è cresciuto in me anche nel pomeriggio della scorsa domenica, quando ho ascoltato per la prima volta l'intero disco. La notizia della morte sarebbe giunta solo qualche ora più tardi, ma già provavo una fitta di sottile malessere nell'osservare la foto di scena dell'album. Il viso di David, pur sempre bello, appariva stanco, l'espressione tirata.

Eppure anche quell'impressione sarebbe stata superata nei giorni a seguire, quando sul sito ufficiale di Bowie è stata pubblicata una foto scattata dall'amico Jimmy King l'8 gennaio: elegante, molto “British”, il Duca Bianco appariva smagrito sì, ma allegro, anzi ilare.

Mi piace pensare che lo sia stato anche di fronte all'ineluttabile chiamata della Nera Signora.

Tracklist

Blackstar
'Tis a Pity She Was a Whore
Lazarus
Sue (Or In a Season of Crime)
Girl Loves Me
Dollar Days
I Can't Give Everything Away



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